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mercoledì 21 luglio 2021

La paura e la fede

 
Il vento e il mare gli obbediscono

 

[Gesù] 35In quel medesimo giorno, venuta la sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36E, congedata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. 38Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che siamo perduti?». 39Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. 40Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». 41E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

 

***

 

Una tempesta ci rivela sempre qualcosa di noi stessi. Ci dice quali sono le nostre fragilità, e più in generale che siamo fragili. Ci mette con forza davanti al fatto che nella vita realtà più grandi di noi, più forti, incontrollabili. Ci dimostra che non possiamo avere vittoria su tutto con i soli nostri mezzi. Una tempesta ci fa arrabbiare. Quando ci capita, ci mettiamo presto alla ricerca di un colpevole. Qualcuno dev’essere responsabile della nostra fatica, della nostra paura, della nostra sofferenza. Dobbiamo pure sfogare la nostra aggressività contro qualcuno. E poi, la rabbia e la paura, riempiono la nostra testa di nebbia fitta. Tutto quello che i nostri sensi percepiscono è deformato, opaco, la lucidità sparisce. 

Ecco cosa succede sulla barca. Gesù dorme. La potenza della tempesta non lo destabilizza. I suoi discepoli invece, presi dalla foga di fare da soli, entrano nel vortice della paura, e tutto li travolge. Perché non invocare prima l’aiuto del Maestro? Perché non chiamarlo subito? La violenza del vento e del mare li trascina nell’inganno di chiudersi in se stessi, di cercare di farcela da soli, di individuare un colpevole contro il quale arrabbiarsi che, ironia della sorte, è proprio colui che avrebbe potuto tenerli lontani da questa tempesta interiore. La relazione è soffocata, ora non sono più amici, discepoli, ma un gruppo di singoli dove ciascuno in fondo fa per sé. Ed ecco la rabbia, l’angoscia, le accuse. 

La tempesta ci rivela qualcosa di noi stessi. Ci dice quanto sia fragile la nostra relazione con il Signore, debole e limitata la nostra fiducia in lui. La fede è il contrario della Paura, Gesù lo sa, e lo dice ai suoi, ma solo dopo averli salvati. Gesù non è venuto a rinfacciare agli uomini i loro limiti, ne a premiarli per i loro meriti. Egli è venuto per dire una verità che però sia servizio alla vita. Riconoscere la propria fragilità è essenziale; stringere una relazione profonda con lui nel tempo della bonaccia si rivela vitale nel tempo della tempesta. Ancor prima però, Gesù è venuto a salvare, e chi lo accoglie sulla barca, al netto delle proprie povertà, sperimenterà di certo lo stesso stupore di quegli uomini sul lago di Galilea: Le forze che ci lasciano impotenti e ci travolgono, obbediscono come fiere ammansite alla sua parola. 

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