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martedì 23 novembre 2021

 Il potere uccide  



 Gv 18,33-37


33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno
fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 
37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

 

***

 

Pilato è un subalterno, un funzionario ma pure un uomo di potere. Lo esercita e ne è soggetto. Il sinedrio, altro potere in gioco, gli ha procurato il fastidio di questo processo, una fastidiosa seccatura che egli cerca di rispedire al mittente. Alla fine si laverà le mani in pubblico tentando così di scaricare la responsabilità (vedi Gv 18,31 e 18,38). Non sa nemmeno se esista un capo di imputazione (Gv 18,29-30)  parla solo per sentito dire (Gesù glie lo fa notare) e non gli interessa di stabilire se si tratta di fatto o di calunnia. Con ogni probabilità intuisce chiaramente l’intenzione maliziosa e disonesta del sinedrio ma non gli importa. Probabilmente alla fine sa bene di avere a che fare con un innocente (18,38b), ma non si spende per lui. Non gli importa nulla di Gesù, ne delle beghe fra giudei, almeno fino a quando non creano problemi troppo gravi di ordine pubblico. Non gli importa di emettere un giudizio giusto. Non gli importa di togliere una vita a caso. Gli importa solo di togliersi il fastidio senza rimetterci, di mantenere il potere, guadagnando consenso o ravvivando la paura. Non vuole disturbare qualche altro potente che potrebbe poi creargli fastidi. Non vorrebbe avere a che fare con Gesù solo per non rischiare di mettersi contro qualche eventuale fazione che lo sostiene. Isomma, Pilato è un uomo di potere, e, come capita quasi a tutti, il potere lo ossessiona, lo annebbia, lo avvelena, lo tiene prigioniero. Qualsiasi cosa egli dica e faccia è irrimediabilmente inquinata da questa ossessione. Egli è interessato solo a sapere se ci sia un re, e se esso vanti un potere. Gesù invece parla solo di regno, cioè dell’ordine di cose che il suo potere stabilisce. A Pilato interessa la condizione individuale, a Gesù l’effetto collettivo. Il regno è la nuova dimensione di vita che egli è venuto a instaurare non in proprio favore, ma in favore di chi la accoglie come dono. Il regno di Gesù non è di questo mondo. se lo fosse, avrebbe usato la violenza per affermarsi, tutti i poteri mondani lo fanno. Gesù non ha radunato un esercito, una truppa, un manipolo di guardie del corpo. Pietro davanti al tradimento e all’arresto del Maestro colpisce di spada, ma Gesù lo rimprovera.

Il suo regno è fondato sul suo Amore che lo conduce a donare la vita. Un Amore totale, gratuito, mite ed umile, che non si impone ma si dona. Questo amore i suoi sono invitati ad accogliere e a praticare come unica, somma legge della loro vita. Gesù non ha bisogno di consenso, per questo può rendere testimonianza alla verità. Al contrario, il potere ha bisogno della nebbia dell’inganno e della menzogna per coprire quello che non viene a suo vantaggio.

 

Gesù non è intimorito dal potere. Nessuno può togliergli la libertà di fare della vita un dono, nessuno può costringerlo a tradire questo amore. In realtà, davanti a lui, disprezzato e prossimo alla tortura e alla morte, Pilato è un miserabile prigioniero di se stesso, con l’unico potere di servire il potere.

 

Davanti a Pilato non possiamo che fare un profondo esame di coscienza. In quali e quanti casi accettiamo la logica dell’amore, umile e fedele, gratuito, che vive la logica della vita donata, e quando invece scadiamo nella tentazione del potere da esercitare? Il rischio è grave ed ha a che fare con tutte le relazioni umane, a tutti i livelli.

 

Quante volte, ad esempio, le nostre comunità, il nostro essere chiesa è inquinato dal potere? Quante volte ci importiamo del buon nome e del consenso dell’istituzione più che della verità? Quante volte mettiamo davvero al centro le persone, e quante volte invece finiamo per incasellarle dentro strutture funzionali al potere? Quanto viviamo di servizio autentico, gratuito, fatto per amore nella logica del dono, e quanto invece finiamo per ritagliarci un nostro feudo nel regno, rivendicando diritti di veto, accampando pretese di vario genere, creando circoli viziosi di dominio e sottomissione, di protezione di chi esprime consenso ed eliminazione di chi invece propone critiche e visioni alternative? Quante volte il Vangelo è fermento che cambia il nostro modo di pensare e di operare, e quante volte invece lo stravolgiamo per piegarlo a giustificare le nostre idee e i nostri modi di agire? Quante volte viviamo la conversione come profonda necessità di cambiare per essere fedeli a Cristo Signore, e quante volte invece la proponiamo a noi stessi e ad altri come sforzo per vivere in maniera più integrale quello che pensiamo di avere già capito? Quante volte giustifichiamo tutto ciò raccontandoci che è ncessario, che è il nostro vivere nel mondo che ce lo chiede?

 

L’elenco potrebbe allungarsi molto, ma più della malattia ci interessa la medicina: contemplare l’unico vero Re, il Cristo, che esercita l’unico vero potere, quello di dare la vita. Lontano da lui ci sono solo inganno e morte. Egli stesso, morto e risorto, è dono di vita per la nostra vita. Lui è il modello da contemplare e al quale conformarsi. Fedele all’amore, fedele e umile, fermo e mite, intenzionato a dare tutto se stesso senza nessuna pretesa di ricevere qualcosa in cambio. Questo è l’unico potere che cambia il mondo, che lo salva. Questo è l’unico potere al quale aderire con tutto se stessi, l’unico modo per passare dai regni della menzogna e della morte all’unico regno di vita e di salvezza. Questa regalità, così diversa e così lontana da quelle del mondo, si affermi allora a partire dal nostro cuore. Trovi spazio nel mondo a partire dalla nostra accoglienza, dalla nostra disponibilità a lasciarci trasformare integralmente. Proclamare Cristo Re dell’universo, significa in fondo desiderare che il suo regnare si affermi a partire da noi.