Cerca nel blog

domenica 17 luglio 2022

Scegliere per vivere

  

Una certezza
per non disperdersi

 

Lc 10,25-37

 

 

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

 

 

Qual è la differenza vera tra queste due sorelle? Scontato, si potrebbe pensare: l’una serve e l’altra ascolta. E subito dopo si potrebbe finire in una infinita discussione sul fatto che l’una e l’altra abbiano le loro ragioni e i loro torti, prendendo le parti ora dell’una, ora dell’altra, o cercando di stabilire un equilibrio tra le due. La ricerca di equilibrio tra il servizio di Marta e la contemplazione di Maria è la strada giusta, ma ancora manca il dettaglio fondamentale. 

 

La differenza tra queste due donne la troviamo nelle parole di Gesù. Maria, a differenza di Marta, ha scelto. Ha esercitato la sua libertà, ha individuato la parte migliore ed ha deciso di dedicarle le sue energie e la sua attenzione. Gesù non disprezza il servizio di Marta. La esorta piuttosto a riconoscere che il suo agire è inquinato, imprigionato. Marta vive la situazione tipica di chi, travolto dalla realtà, non riesce a scegliere. Si butta a capofitto in molte cose, perché non sa stabilire tra di esse una priorità di importanza e di tempo. Disperde le sue energie in mille rivoli, apparentemente tutti uguali, che la prosciugano oltre il limite del sopportabile. La opprimono fino a toglierle il fiato (ecco l’affanno) e la mettono in agitazione, ingrediente questo di ulteriore confusione. Chiunque viva una situazione del genere, si sente derubato della vita nella sua bellezza, e perciò cova dentro una rabbia destinata prima o poi ad esplodere, e infatti Marta sbotta con Gesù.

 

La sua protesta sembra spinta da realismo e senso di giustizia, ma Gesù riconosce in essa una malattia. Marta è imprigionata in un caos generato dalla sua incapacità di scegliere. L’esortazione del Maestro la aiuta a riconoscere questa realtà, ad accorgersi che la prigione di fatica nella quale si è infilata, è generata dal fatto che lei stessa non ha esercitato la sua libertà scegliendo.

 

La nostra vita prende forma a partire dalle nostre scelte. Le scelte della vita e quelle più piccole e quotidiane, che confermano e rendono vere quelle grandi. Possiamo scegliere cosa vogliamo fare, ma anche possiamo scegliere come vivere quel che ci capita e che, in qualche maniera, siamo costretti ad affrontare. Per farlo però c’è bisogno che ci affidiamo a colui che garantisce la nostra libertà, a Dio, che ha creato la nostra vita libera. Stare ai piedi di Gesù, come Maria, ravviva e consolida nel cuore una certezza che, se troppo fragile, rischia di essere spazzata via dal ciclone delle cose e della frenesia quotidiana. Stare ai suoi piedi rende salda la certezza che noi siamo figli amati, custoditi, apprezzati, e che egli è con noi nella buona e nella cattiva sorte, per darci la forza di affrontare al meglio ogni cosa e per garantirci che l’esito finale della nostra vita è la pienezza del suo amore. 

 

Questa è la certezza che ci permette di scegliere, e di scegliere la parte migliore, nei grandi incroci dell’esistenza e nelle piccole situazioni quotidiane, evitando la prigione della frenesia e l’affanno del quotidiano. Questa è la certezza che ci fa servire non essendo distolti e dilaniati in mille cose, come Marta, ma essendo piuttosto impegnati a dirigere le nostre energie verso l’orizzonte dell’Amore che il Signore ci indica.

Desideri e reali disponibilità

Quello che bisogna evitare 

Lc 10,25-37 

 Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così». 

Perché mai questo dottore della legge sente il bisogno di giustificarsi? Gesù approva la sua lettura e la sua scelta. Il dialogo con Gesù era cominciato male. Egli non voleva confrontarsi, ma tendere un tranello. La sua risposta però è sincera. Lo studio e la meditazione della legge lo hanno portato ad una risposta: per ereditare la vita eterna è necessario impegnarsi ad amare Dio con tutto se stessi; cuore, anima, forza-beni, mente, e amare il prossimo come se stessi. Gesù è d’accordo. Non c’è bisogno di investire altre energie in discussioni. Bisogna passare al fare, lasciare che la legge dell’amore plasmi la vita. “fa' questo e vivrai”. 

Messa da parte l’iniziale intenzione di inganno la domanda del dottore della legge è più che legittima. La ricerca e il confronto fanno parte della sua vita. Se poi l’opinione del Maestro concorda con la sua, tanto meglio. Che cosa dunque lo spinge a giustificarsi? Proprio il fatto che Gesù conclude con l’esortazione a fare. L’amore non esiste se non come fatto pratico, ma proprio la pratica è il problema. Andare d’accordo sul fatto che l’amore è il più grande dei comandamenti è semplice. Amare in pratica invece è spesso difficile, faticoso, chiede di impiegare se stessi, di scegliere, di rinunciare. Ecco perché questo tale ha bisogno di giustificazioni. Se non era sincera l’intenzione, probabilmente lo è la sua domanda iniziale. Egli vorrebbe ereditare la vita eterna, cioè una vita compiuta. Gli manca però la disponibilità concreta a vivere in pratica facendo spazio a questo dono. 

 La storia che Gesù racconta parla chiaro. Il Sacerdote e il levita sono due personaggi forniti delle giustifiazioni più salde, perché stanno sul piano religioso. Hanno bisogno di rimanere puri non tanto per se stessi ma per continuare a svolgere il loro servizio religioso in favore degli altri. C’è in Israele qualcosa di più inoppugnabile? Probabilmente no. Per Gesù però, anche gli ostacoli religiosi non sono che giustificazioni. L’amore è un movimento di uscita da se stessi, chi si giustifica invece alza tra se e gli altri un invalicabile muro. Il Samaritano agisce per compassione. Si fa vicino, si prende cura di quel tale per il solo motivo che egli ne ha bisogno. Se ne fa carico, paga per lui. 

Sant’Agostino ci insegna a riconoscere in questo Samaritano Gesù stesso, venuto a soccorrere un’umanità che, allontanandosi dalla città santa, quindi simbolicamente da Dio, è incappata in situazioni di morte. Se questo è l’esempio del Maestro, anche noi discepoli dobbiamo comportarci così, e quando siamo assaliti dalla tentazione di giustificarci Gesù ci offre un antidoto. Giustificarsi infatti è l’ostacolo più pericoloso che impedisce al cuore di amare. E il nostro cuore impara in fretta meccanismi sottili e potenti per giustificarsi. Ci fa valutare, emettere giudizi e pregiudizi. Ci fa fare ragionamenti di merito, di buonsenso, di saggio senso della misura. Ci fa stabilire priorità, meccanismi di valutazione, criteri di giustizia. Molte di queste cose possono avere un loro ruolo. La domanda però rimane: quando e quanto ci giustifichiamo per fuggire dall’amore, e dalla cura per l’altro che dell’amore è manifestazione pratica? Ecco l’antidoto di Gesù: “Chi è il mio prossimo” è la domanda sbagliata. Quella giusta è: “chi si è fatto prossimo di quel malcapitato?”. Non dobbiamo fare i conti del diritto degli altri a ricevere il nostro amore, le nostre cure, il nostro soccorso. Dobbiamo piuttosto chiederci se siamo o no disposti ad amare chi ne ha bisogno, senza altri criteri. Non dobbiamo evitare il fratello, ma le giustificazioni che ci impediscono di farcene carico. Non siamo certo noi a salvare il mondo, ma Gesù ci chiede di metterci in gioco. Siamo disposti a farci prossimo? La risposta a questa domanda è una questione di vita (eterna) o di morte!

lunedì 10 gennaio 2022

Non possiamo dimenticare i Magi

 Luoghi di morte e percorsi
di vita

 

 

1 Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6E tu, Betlemme, terra di Giuda, 

non sei davvero l'ultima delle città principali di Giuda:

da te infatti uscirà un capo

che sarà il pastore del mio popolo, Israele».

7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo».

9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro paese.

 

13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». 14Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:

Dall'Egitto ho chiamato mio figlio.

 

16Quando Erode si accorse che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò a uccidere tutti i bambini che stavano a Betlemme e in tutto il suo territorio e che avevano da due anni in giù, secondo il tempo che aveva appreso con esattezza dai Magi. 17Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:

18Un grido è stato udito in Rama,

un pianto e un lamentogrande:

Rachele piange i suoi figli

e non vuole essere consolata,

perché non sono più.

 

 



***

 

Erode è un uomo divorato da un complesso, quello di non essere nessuno. Il lusso e lo sfarzo sfrenato del suo palazzo sono la droga che gli fa scordare la sua paura, ma essa è sempre in agguato. Egli è prigioniero del potere che esercita, che percepisce sempre insidiato e che lo fa vivere di sospetto, di angosciata vigilanza, di trame con altri potenti ai quali offrire consenso e compiacenza in cambio di riconoscimento e legittimazione della sua posizione. Non importa se tutto ciò è a scapito del popolo. La sua ferocia in questo senso è nota. A titolo di esempio, durante il suo regno fa uccidere una moglie e alcuni suoi figli, sospettati di tramare contro di lui. 

La sua paura, lasciata libera di svilupparsi, diventa eccessiva e grottesca, al punto che egli si adombra per un bambino, si accende di un’ira incontrollata perché dei saggi sconosciuti non rispondono puntualmente ai suoi ordini. Alla fine, nel delirio della violenza, ordina la strage degli innocenti, terribile frutto della sua personalità controversa e squilibrata. 

Erode mostra quanto sia pericolosa la tentazione del potere. Essa è spesso frutto di paure nascoste ma potenti. La paura di non contare nulla, o di non contare più, quella di non essere valorizzati, di essere insignificanti. Il timore di fallire, di non ricevere consenso da nessuno, il timore che nessuno si accorga di noi, in fondo della solitudine. E poi il timore che qualche scelta destabilizzi il nostro ruolo, ci porti via la posizione che ci fa sentire qualcuno, metta in discussione l’istituzione che ci legittima. Più è profonda e nascosta la paura, più è spietata la violenza con cui si difende. Non c’è solo la strage degli innocenti. Ci sono silenzi che ammazzano, indifferenze che soffocano, parole che affondano brutalmente nella carne, nella storia, nella rispettabilità delle persone. Ovviamente tutto ciò avviene più spesso in modo, per così dire, pulito, e in nome di quelle che paiono necessità assolute. Una delle attività che questa macchina del potere svolge è infatti quella di autolegittimarsi, di stabilire le necessità che giustificano la violenza del potere, la più terribile delle quali è quella che si riferisce ingiustamente a Dio.

 

Accanto a Erode ci sono altre categorie di persone che in qualche modo ruotano intorno al sistema del potere. 

 

Gli scribi e i capi dei sacerdoti, maestri della scrittura, della legge, delle tradizioni di Israele, e proprio per questo detentori di una grande autorità. La conoscenza però non trasforma la loro vita. In fondo sono prigionieri del sistema, ingranaggi di un meccanismo che ha ancora una volta il potere come motore principale. Individuano correttamente la profezia che parla del nuovo re, ma la loro vita è fortemente ancorata al sistema. Non si muovono. Funzionano da consulenti, stanno nel ruolo, nei confini del sistema che offre loro in cambio prestigio e privilegio.  

Nel testo di Marco Gesù riserverà loro queste parole taglienti: “…amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere.” (Mc 12,38-40) Parole che si attualizzano e si commentano da sé. 

 

La gente di Gerusalemme non detiene forse poteri particolari, ma uno status. Sono Giudei, eletti nel popolo eletto. Vivono dentro un sistema e non vogliono vederlo turbato. Forse qualcuno inizia a percepirlo stretto e sterile, forse a qualcuno sembra talvolta iniquo, forse c’è chi ne vede la deformazione, l’inquinamento, ma guarda altrove, oppure non sente di avere la forza o l’autorità di cambiarlo, o crede che non sia il suo compito.

 

Meditando su queste figure, riconosciamo facilmente in filigrana certe pesantezze del nostro mondo, ma anche della nostra chiesa. Certe posizioni soffocanti, certe abitudini infeconde, certi schemi sterili che però ci si ostina ad applicare, certe giustificazioni che sembrano ineccepibili ma alle quali ormai nessuno crede. 

 

Stefano da Verona -
Adorazione dei Magi
La vicenda dei magi ha molto da insegnarci in questo senso. Se dovessimo soffermarci sulla figura di questi dottissimi uomini, sulla loro provenienza e stato sociale, ci perderemmo in un viaggio affascinante, ma non indispensabile a comprendere il messaggio del testo. Ci basta sapere che i magi sono pagani, forniti di enorme cultura e sapere di ogni genere, per questo autorevoli e potenti presso i popoli nei quali vivono e operano. Nella descrizione di Matteo, i magi mostrano subito dei tratti interessanti.

 

Prima di tutto l’evangelista li descrive in viaggio, l’atteggiamento di chi è alla ricerca, di chi non si sente completo, di chi ha sete di altro, di qualcosa di più grande. Il viaggio è l’icona della vita di ogni uomo, la paralisi turbata di Gerusalemme invece assomiglia più alla morte. 

 

Si scopre che a metterli in cammino è stata la scoperta di una nuova stella. Scoperta condivisa, visto che viaggiano insieme. Questi saggi conoscono bene il cielo, lo scrutano anche perché credono che esso influenzi la vita degli uomini. L’astrologia, cioè la divinazione del cielo, è chiaramente condannata dalla bibbia (si veda ad esempio Lev. 19,26; Dt 18,10; Is 8,19), ma è evidente che questi tali non vivono della pretesa di scoprire il futuro nelle stelle. Prova ne è il fatto che, giunti a Gerusalemme, chiedono lumi ai saggi locali. Il loro scrutare il cielo assomiglia ad una sincera ricerca di un di più, ad un desiderio profondo di qualcosa di più grande, che troveranno soddisfatto nell’incontro con il Dio bambino.

 

La loro guida definitiva è comunque la Parola di Dio, che gli scribi citano senza lasciarsi coinvolgere. Loro invece la ritengono venerabile ed autorevole, tanto da mettere in pratica senza esitazioni quello che hanno sentito. Vanno a Betlemme, e vedono la stella. Scoprono la meta del loro cammino e sono inondati di una grandissima, autentica gioia. 

 

Giunti alla grotta, adorano e donano. Si inginocchiano davanti ad un bambino, ma riconoscono in lui Dio (incenso), il nuovo Re (oro), nuovo perchè ama fino a donare la vita (mirra). Si inginocchiano, come a riconoscersi piccoli e indegni, ma non fuggono. Il cuore suggerisce loro che non c’è da temere. Colui davanti al quale stanno è venuto nel mondo per amare. Non compete in fatto di potere con Erode né con i potenti della terra. Il suo potere consiste nell’amare fino a dare la vita. 

 

Un tale incontro non può che cambiare la vita di chi lo vive. Ora sono pieni di lui, della sua luce, di quella sua grandezza che sta nella piccolezza al punto che riconoscono la sua voce. Sono avvertiti in sogno, non tornano più dai potenti, non corrono il pericolo di restare invischiati nelle loro trame stantie, mortali. Per un’altra strada, verso una vita nuova, tornano al loro paese. 

 

Nella vicenda dei magi sta una luce splendente che ci indica il cammino. Se il loro desiderio è anche il nostro, se il loro cercare qualcosa di più grande che riempia il cuore abita anche il nostro cuore, allora il loro viaggio sia il nostro viaggio. Senza sconti e senza timori, senza remore e ripensamenti. Mettiamoci alla ricerca del nuovo Re, venuto a regnare in un modo nuovo, cioè dando la vita per amore. Cerchiamolo, sostenuti si dalla stella del desiderio, ma anche istruiti e guidati dalla saggezza della parola. Camminiamo sempre di nuovo, con gioia e trepidazione, fino all’incontro con lui. Mettiamoci in ginocchio davanti a tanto dono. Immergiamo la nostra piccolezza nell’immensità del suo Amore, certi che non saremo perduti ma custoditi, non schiacciati ma riempiti di gioia profonda, non mortificati ma abitati da una vita nuova. Verso questo incontro si diriga sempre il nostro viaggio, e da questo incontro riparta, sempre di nuovo per un’altra strada, sempre di nuovo convertiti, illuminati, riempiti di speranza e forza. La sua luce ci guidi ad evitare le trame violente dei potenti, senza combatterle inutilmente, rischiando di scendere a patti con loro. L’esempio dei magi ci renda autentici costruttori del regno, mai adombrati dagli erode e dagli scribi di oggi, mai esasperati e vinti dall’immobilismo sterile e triste di certi gruppi di credenti. Sempre pieni invece di quella saggia leggerezza che porta a cercare, sperare, costruire, seminare, sempre di nuovo coscienti che l’Emmanuele, il Dio con noi è trampolino di lancio e meta di ogni nostro pellegrinare, faticare, soffrire, amare.