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lunedì 13 marzo 2023

Bisogni e pretese

Alterazioni della fame

Mt 4,1-11

 

In quel tempo Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo.2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane».4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l'uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai».10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.


***

 

Che cosa c’è di male nella fame? Assolutamente nulla, a meno che, ad essa non si aggrappi un tarlo, una malattia deformante: la tentazione. Che dopo il digiuno nel deserto Gesù abbia fame, è perfettamente comprensibile. Normale. Che egli cerchi un modo per soddisfare questo bisogno, è altrettanto ovvio. In quello che il diavolo suggerisce però, c’è qualcosa di più, qualcosa che fa passare il confine tra la ricerca del cibo e il delirio di onnipotenza. 

 

Per comprendere meglio dobbiamo fare una piccola sosta e guardare per un istante con la lente di ingrandimento i nostri bisogni. Avere bisogno di qualcosa significa essere incompleti, non autosufficienti, legati necessariamente a qualcosa che sta fuori di noi. I bisogni sono la manifestazione del nostro limite, del fatto che non bastiamo a noi stessi, che il mondo non gira intorno a noi, nemmeno il nostro mondo. Non possiamo non essere limitati, quindi bisognosi. Ci sono dei limiti che possiamo affrontare e superare, ma ce ne sono altri che caratterizzano in modo permanente la nostra umanità. Non siamo padroni di tutto. Non possiamo avere controllo su tutto. Non possiamo, con le nostre sole forze e conoscenze superare ogni ostacolo, vincere ogni sfida, sconfiggere ogni malattia. Quando cerchiamo di infrangere questo muro, di spezzare i limiti dell’umanità, ci inganniamo di superare noi stessi, in realtà deformiamo il nostro essere. 

 

Il limite dice anche la nostra vocazione originaria: quella alla relazione. Non bastare a noi stessi ci spinge ad uscire, ad aprire gli occhi sulla realtà, ad incontrare gli altri, ed ogni volta dobbiamo decidere chi vogliamo essere. Possiamo comportarci da predatori, mettendo in atto ogni strategia per sottomettere e fagocitare tutto e tutti, oppure possiamo comportarci da esseri umani, capaci di vivere di armonia e di equilibrio, di rispetto e reciprocità, capaci di rispondere alla vocazione originaria: quella di assomigliare al creatore che ha fatto tutto dando vita e non togliendola, offrendo libertà e non imprigionando e sottomettendo, mettendo ordine ed armonia, e vincendo così la violenza del caos.

 

Ecco qual è il problema del suggerimento diabolico: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane». Sei davvero figlio dell’onnipotente? Egli ti vuole davvero bene? E allora perché mai dovrebbe lasciarti nel bisogno… no! Usa la tua potenza! Non rispettare la realtà, deformala a tuo piacimento. Non curarti della natura delle cose ma solo della possibilità di servirtene per i tuoi scopi. Non ritardare per nessun motivo la risposta ai tuoi bisogni, alla tua fame. Mangia, a qualsiasi costo. 

Il tentatore suggerisce a Gesù di mettere al centro il suo bisogno, in questo modo però, il bisogno diventa una specie di divinità, un idolo capriccioso, pronto a tradire, deformare, fagocitare tutto e tutti per placarsi temporaneamente. E la prima realtà che questo idolo deforma, è proprio l’identità. Chi risponde in modo compulsivo ai propri bisogni non si comporta più da figlio di Dio, ma da servitore dell’idolo.

 

In qualche modo, questa tentazione descrive il funzionamento di tutte le altre. Che la fame sia di cibo, di potere, di sesso, di successo, di gratificazione… sempre le cose funzionano così. 

 

La strategia di Gesù di fronte al tentatore è chiara: non entra in dialogo e non usa parole sue. Chiude il discorso riferendosi alla Parola di Dio. Lui è vincitore, e noi possiamo vincere la tentazione solo con lui, seguendolo, lasciandoci guidare. I nostri ragionamenti non possono nulla contro l’inganno del nemico. Affidarci alla sua Parola, meditandola e facendola nostra, è l’unica difesa possibile. 

 

L’altra strategia che Gesù stesso ha vissuto, e che la tradizione cristiana ci indica, è quella dell’esercizio. Bisogna esercitare i bisogni a stare al loro posto, a non diventare pretese assolute. Come fare? Con il digiuno, cioè ridimensionando il bisogno della fame, educandolo perché non ci maltratti per essere esaudito e allo stesso tempo diventando forti davanti ai suoi capricci, alle sue pesanti proteste. Il digiuno è come una palestra. Chi si allena fa uno sforzo che non è necessario a produrre un lavoro, ma che è estremamente utile a rinforzare dei muscoli in vista di un lavoro. Così, chi digiuna in modo cosciente dal cibo o da vari altri bisogni della carne e della mente, si esercita a non lasciarsi trascinare qua e là, ad essere fermo, ed esercita questi bisogni a stare al loro posto.

 

Queste strategie hanno in fondo un solo scopo: renderci liberi di scegliere a chi affidare la nostra vita, di decidere in cosa vogliamo investire le nostre energie, di valutare le proposte che abbiamo davanti con lucidità, senza l’annebbiamento che certe smanie gettano davanti ai nostri occhi.

 

Che la quaresima sia per noi tempo favorevole per esercitarci alla libertà seguendo Cristo, confidando nella sua forza, ascoltando la sua Parola.

sabato 4 febbraio 2023

Opere che parlano


Dare sapore senza apparire

 

Mt 5,13-16

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 

«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

 

* * *

 

Il sale da sapore scomparendo. Nessuno lo vede, e quando c’è in giusta quantità, nessuno lo ricorda. La sua assenza però si nota subito. Nessuno nota la luce, ma gli effetti che essa provoca. Quando è troppo poca, lamentiamo la sua mancanza. Quando c’è ne godiamo concentrandoci su altro, sulle cose che essa illumina, sui colori che mette in evidenza, sulle bellezze e sulle brutture che mette allo scoperto. La fede in Gesù Cristo non ci rende alieni, fuori dal mondo. Ci chiede invece di restare nel mondo con questo stile. Noi non siamo chiamati a mettere in atto delle strategie per diventare visibili, dobbiamo piuttosto impegnarci ad essere significativi. Non ci è chiesto di cercare modalità comunicative per diventare persuasivi e così essere creduti, piuttosto dobbiamo sforzarci di essere credibili. Non è nello stile dei credenti cercare applausi e consensi, c’è piuttosto bisogno di vivere una carità concreta che ci renda efficaci. Non importa se siamo considerati, ma se diventa rilevante la nostra presenza là dove il Signore ci chiama. Dobbiamo girare alla larga dal potere umano e dalle sue tentazioni, ed imparare piuttosto ad esercitare il potere di Cristo, quello di dare la vita. C’è però qualcosa che deve diventare visibile: le nostre opere buone, cioè le nostre opere di Vangelo, guidate dalla Parola del Signore, ispirate e sostenute dal suo Spirito, ricalcate sulle priorità che Gesù stesso ci dona. Egli ha cercato per primi i poveri, i sofferenti, gli emarginati, i peccatori. Se siamo del Maestro lo si capisce da questo, dal fatto che le nostre priorità siano o no simili alle sue, dal nostro agire in modo simile al suo più che dalle nostre idee o dal nostro parlare. Non come singoli, ma come comunità, (Gesù usa il noi, non il tu…) dobbiamo tornare a queste priorità. Questa è la nostra prova del nove. Questa è l’unica strategia per l’annuncio approvata direttamente da Gesù. Non parole convincenti, non slogan accattivanti, non connivenze con i poteri del mondo, non ricerca di plauso e di consenso. C’è bisogno di fatti, fatti di vangelo. Fatti di vita che mostrino la buona notizia di un Gesù Signore incontrato ed amato, creduto e seguito, al quale cerchiamo ogni giorno di consegnare la vita. Fatti di amore gratuito che mostrino che siamo abitati da un amore più grande, sorprendente, potente, il suo stesso amore in noi. Queste opere vedranno gli uomini e le donne del nostro tempo, e non sarà importante se le loderanno, se ce ne ringrazieranno, ma se guardandole apriranno il cuore a Dio, canteranno la loro lode a lui. Ciò che importa è che le nostre opere toccando i cuori li facciano ardere, di quello stesso amore, li spingano a desiderarlo con infinita nostalgia. A noi il compito di essere nascosti, come il sale, ma capaci di esaltare ogni buon sapore, trasparenti, come la luce, ma desiderosi di mettere in luce la verità dell’Amore di Dio, la bellezza di ogni cosa creata, la potenzialità di ogni relazione.