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sabato 18 settembre 2021

Grande e vuoto o piccolo e fecondo

 


L'unica vera grandezza

 

Mc 9,30-37

 

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

 

 

 

***

 

La gara del confronto spietato inizia da piccoli, talvolta addirittura inizia dai genitori, che confrontano i progressi di crescita dei propri figli con quelli dei figli degli altri, e che sono poi tentati di confrontare tra di loro i fratelli e le sorelle. Cresciamo con l’idea che la competizione sia tutto, e che chi vince sia migliore. Cresciamo con l’illusione che se vinci, la tua vita avrà più senso per il solo fatto che sarà valutata superiore ad altre vite. Cresciamo pensando che se non c’è qualcuno che ti riconosce, che in qualche modo, con il suo giudizio, o anche con la sua invidia, dica quanto sei bravo, allora non sei nessuno.

 

Di questo discutono i discepoli lungo la via: di chi sia tra di loro il più importante, quello che vale di più, e che perciò conta di più nelle decisioni e può vantare più diritti. Sarà quello maggiore in età? O quello con più esperienza, o con più familiarità con il maestro? Sarà quello più bravo a parlare? Con quale criterio si valuta la vita di un discepolo, e più radicalmente di una donna o di un uomo?

 

La discussione dei discepoli stride fortemente con i discorsi del Maestro. 

Fuggita la folla che lo accalca, egli aveva appena cercato di condividere con i suoi amici intimi una scelta che va nella direzione opposta. Altro che gloria. Il Figlio dell’uomo viene consegnato. Ha scelto la logica del dono, e per questo verrà disprezzato, condannato, ucciso. Ma risorgerà, perché per questo egli è venuto, per dare la vita, per sempre. I discepoli non se ne rendono conto, ma la loro discussione risponde perfettamente alla logica di coloro che metteranno in croce il Maestro. Così Gesù si trova sempre più solo. Nemmeno con i suoi può condividere la sua scelta. Nemmeno loro lo aiuteranno a portarne le conseguenze pesanti e drammatiche. Egli però, con paterna insistenza, mostra loro quale sia l’unica strada per fare una vita grande. 

 

C’è li un bambino, il simbolo della piccolezza e della fragilità. Un essere prezioso a parole, ma spesso non in pratica. Gesù lo abbraccia e fa un’affermazione sconvolgente. Un solo gesto di protezione e di affetto nei confronti di un piccolo, ignorato, disprezzato essere umano, è più prezioso di tutta la grandezza del mondo, perché chi accoglie un piccolo accoglie Dio.

 

Purtroppo capita anche a noi come ai discepoli, che cioè ascoltiamo sì il maestro, pi però poi torniamo a ragionare con i nostri criteri, a preoccuparci di dare senso alla vita secondo la nostra idea di vita. E il discorso si fa presto ansia, paura, sospetto, screzio, perché quando si deve conservare una certa grandezza, prima o poi viene il momento in cui la si deve anche difendere, da qualcosa o da qualcuno. 

 

Questo Vangelo non può che metterci profondamente sotto sopra. Porta scompiglio dentro di noi, ma rende realmente feconda la nostra vita. Ai nostri discorsi e alle nostre preoccupazioni Gesù risponde con un gesto che dice tutto. Se davvero vogliamo che la nostra sia una vita grande, allora dobbiamo scegliere la strada della fecondità che è una sola, quella che lui ha percorso.

 

Al mondo sono molti i piccoli, i fragili, le persone ignorate, che nessuno considera, che il mondo emargina e disprezza. Abbracciarle significa considerarle, restituire loro un po’ di attenzione, significa spendere un po’ della nostra vita per sollevare, difendere, custodire la loro. Un solo gesto di questo genere rende la nostra vita grande e significativa più che mille inutili sforzi alla ricerca di visibilità. Una sola carezza data ad una vita oppressa per farla rifiorire, ci fa incontrare Dio più che mille eventi gloriosi. Così ha fatto Gesù, ha dato la vita mentre nemmeno i suoi se ne rendevano conto, e il suo dono ha fatto rifiorire l’universo. Lasciamoci sconvolgere da questa logica, lasciamoci guidare dal Maestro, e la nostra vita diventi davvero feconda, donata per dare vita.

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