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lunedì 17 giugno 2024

L’infinito nel minuscolo


L’infinito 

nel minuscolo

 

Mc 4,26-34

 

Diceva: "Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli m
anda la falce, perché è arrivata la mietitura".

 

Diceva: "A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra".

 

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

 

***

 

Quanto ci sembra strano, talvolta, il modo di fare di Dio. Invece che partire dalle cose grandi e solide, ragiona a partire da cose piccole, che ci sembrano insignificanti. Invece che iniziare con qualcosa di vistoso e potente, parte da ciò che è umile e marginale. Non calcola tempi e investimenti, semina e basta. Dio ha una certezza: sa che il seme che sparge non è morto, ma vitale, e questa vitalità certa è una promessa. Il seme infatti può cadere in condizioni che lo faranno morire, ma può anche trovare terreni adatti. Allora germoglierà, metterà radici, spunterà dalla terra. Ciò che è vitale cresce, si espande, fiorisce e porta frutto. Resiste alle avversità, ha la capacità di guarire dalle ferite, di lottare per continuare a vivere. 

 

Ecco com’è il regno. Come un seme, anzi, come un granellino di senape, il seme più piccolo. Ma perché cosi piccolo? Perché insistere sulle sue dimensioni minuscole, quasi insignificanti? Perché quello che importa è la vitalità del seme, non la sua dimensione. Fuori dall’immagine,  il regno dell’Amore, della giustizia, della pace che Gesù è venuto ad inaugurare, non si manifesta in modo vistoso, ma è vitale. Ha in se la capacità di dare vita a quelli che lo accolgono, una vita nuova, resa vitale dal Suo Amore, purificata da ciò che amore non è e che perciò è destinato  a mortificare e a perire. Non è una struttura pesante, imposta dall’alto, una legge forzata nella realtà. Il regno è un semino, talvolta quasi invisibile, però è vitale, e perciò germoglia nei cuori a partire da chi lo accoglie e ci crede. 

 

Si, c’è bisogno di accoglierlo e poi di crederci, non solo di credere. Chi crede, in fondo, si limita ad aderire ad un’idea. Questo non basta. C’è bisogno di mettersi in gioco per questo regno, di investire la vita per accoglierlo e costruirlo, di lasciarsi trasformare dalla sua logica. Dio ci ama, e rende concreto questo Amore donandoci tutto se stesso. Egli depone questo dono come un minuscolo seme nei nostri cuori. C’è bisogno di lasciare mettersi in gioco a partire da questo seme, facendogli spazio per primi, lasciando che affondi le radici nel cuore, che faccia spuntare le foglie e stenda i suoi rami in tutto il nostro essere, che fruttifichi nella nostra vita. C’è bisogno di lasciarsi seminare e poi di diventare seminatori, sempre con cuore grato per il dono ricevuto, sempre senza pretese. Questo seme infatti non risponde ai nostri criteri. Continuerà ad essere un seme piccolo. Continuerà a germinare nei cuori in maniera misteriosa. Continuerà a sfuggire ai nostri progetti, ai nostri calcoli, ai nostri bilanci costo/rendimento. 

 

Per questo anche noi dovremo comportarci come quel contadino. Lui semina, senza l’ansia di ciò che spunterà. Dobbiamo diventare seminatori di granelli di senape. C’è bisogno di imparare a spargere questo Amore del regno nelle piccole pieghe della quotidianità, nel terreno grigio del giorno dopo giorno. Un sorriso, un gesto cordiale, un minuto di orologio dedicato ad ascoltare realmente qualcuno può diventare un seme di Regno. Dare attenzione a qualcuno a cui nessuno presta attenzione, usare una piccola gentilezza uscendo dagli schemi della frenesia, fare un gesto di carità, di cura, anche se nessuno se ne accorge, magari nemmeno il diretto interessato. 

 

Non necessariamente siamo chiamati a fare grandi opere che lascino il segno nel tempo. Di certo dobbiamo seminare nelle nostre giornate semi piccoli, magari minuscoli, ma resi vitali dall’Amore di Cristo che portiamo in noi. Qui sta la nostra speranza, non in quello che progettiamo o prevediamo. Speriamo perchè abbiamo profonda fiducia che il seme germoglierà, come, perché e quando non lo sappiamo, ma non importa. 

 

La nostra speranza viene dalla certezza che la vitalità del seme a volte sarà soffocata o trascurata fino alla morte, ma altre volte invece germoglierà. Dio agisce così, e noi con lui: semina e semina arriverà un cuore che accoglie nella libertà, o un raggio di luce a far germinare un seme gettato anni prima. Semina e semina arriveranno occhi capaci di lasciarsi illuminare dalla luce di questo amore, vite che attendevano da tantissimo di udire parole così colme di senso. E allora bisogna seminare, colmi di speranza, rallegrati dalla gratitudine, resi umili e tenaci dalla sapienza stessa del regno, che ribalta quella umana, che conta su un granello e non su un albero già grande, che non si nutre di chi esibisce grandezza, ma di chi coltiva la vitalità dell’amore spicciolo, quotidiano, e, proprio per questo, grande.  

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