Cerca nel blog

giovedì 30 dicembre 2021

Natale, lo stile di Dio che sorprende

Uno splendore che dirada ogni tenebra

 


 

***

 

Nessuno ha mai visto Dio. (Gv 14,18) Molte volte ci fermiamo qui. Rischiamo di vivere come se l’incarnazione non fosse mai avvenuta, come se Dio fosse chiuso nella sua distanza, nel suo mistero. Rischiamo di vivere come se non potessimo sapere nulla di lui, come se dovessimo accontentarci di farci un’idea, e questo è quanto mai pericoloso. Le nostre idee di dio sono traballanti, lacunose, deformanti. Hanno a che fare con i nostri pregiudizi e le nostre paure. Proprio le paure spesso ci spingono ad immaginare un dio severo, che ci misura, che ci giudica. Temiamo le nostre fragilità, le nostre inadeguatezze, i fallimenti; queste paure diventano presto giudizi negativi su noi stessi, ed altrettanto presto attribuiamo questi giudizi a Dio. Temiamo il confronto con la realtà, con gli altri, e le paure diventano giudizi, giudizi divini.

 

Viviamo in un mondo che vive la logica del più forte, del più furbo, del più potente. Al tempo della nascita di Gesù, Cesare Augusto aveva prodotto disagio e scompiglio imponendo con il potere il censimento. Oggi i poteri in atto sono altri, ma sono altrettanto capaci di pesare sulle nostre vite. In modo subdolo deformano il nostro punto di vista, la lucidità dei pensieri. Creano bisogni e indirizzano scelte. I “Cesare Augusto” e i “Quirinio” di oggi hanno il nome di poteri economici, di idee di tendenza, di influencer in vista. Non muovon più le masse con editti, ma con la logica delle tendenze, dello stato sociale, delle mode, dei “mi piace”, degli standard, dell’adeguatezza, della competizione  spietata, della prestazione.

 

Viviamo in questo contesto, e rischiamo sempre di esserne condizionati. Siamo immersi in logiche di potere che finiamo per credere giuste e dalle quali ci facciamo giudicare. Ci sentiamo buoni o cattivi a partire da criteri che ci sono imposti, che non valorizzano la nostra originalità, anzi la costringono e la mortificano dentro criteri che non ci appartengono. Siamo sballottati da potenti e finiamo per desiderare noi stessi di diventare potenti. Vogliamo avere tutto sotto controllo. Quello che c’è dentro di noi e quello che sta fuori. Viviamo di ansia per quello che non raggiungiamo e non siamo, e nel frattempo dimentichiamo che, dentro di noi, impastato con i limiti, c’è un tesoro prezioso, originale, che Dio ha dato a ciascuno e che attende, talvolta purtroppo inutilmente, di germogliare. 

 

Così travolto da queste dinamiche, il mondo non si importa di Dio. La vicenda di Maria e Giuseppe sembra del tutto marginale. Cos’è una giovane coppia di fronte a tutto il resto? Sono giovani, che pensino loro a sé stessi. Gli abitanti di Betlemme sono distolti da ben altre occupazioni e preoccupazioni. C’è da far polemica sul potere dei romani, che divide gli uni dagli altri, quelli che lo vorrebbero cavalcare da quelli che lo vorrebbero combattere. C’è da cogliere l’occasione del censimento per raggranellare qualche quattrino. C’è frenesia, paura, rabbia, fastidio, e chissà cos’altro nel cuore della gente. Di certo non c’è posto, per null’altro. Così il Figlio di Dio nasce in una situazione di perfetta inadeguatezza, di totale marginalità, fuori dai giochi della storia, dalle vicende che contano secondo gli uomini. Il Verbo si fa carne, ma i suoi non lo accolgono (Lc 2,7 e Gv 1,11). Così, la vicenda di Maria e Giuseppe potrebbe apparire più che altro come una disavventura, ma che Dio è quello che dopo averli chiamati, dopo aver affidato loro un compito, li abbandona nella disavventura?

 

Potrebbe essere una domanda fondamentale del Natale. Che Dio è mai questo? È un Dio che si può conoscere solo se egli stesso si rivela a noi (Gv 1,18). Possiamo conoscere questo Dio solo se, come i pastori, accettiamo di metterci in viaggio. Il segno che l’angelo offre loro è piccolo, del tutto ordinario, potrebbe sembrare banale e insignificante. Un bambino. Tenero per carità, ma nemmeno conoscono i suoi genitori, e poi quanti bambini nascono sulla terra? Non sarà come tutti gli altri, fragile, muto, bisognoso di tutto? Sarà forse lui a fare la differenza? Eppure i pastori si mettono in cammino, e scoprono che è proprio così. Un bambino fa la differenza. Dio ha deciso di entrare nella storia del mondo facendo la differenza. Per questo Non si mette in competizione con i potenti e non esercita un potere come loro lo esercitano. Non fa clamore e non cerca consenso, Si fa spazio silenziosamente a partire da chi lo accoglie. Non fa guerra a chi lo rifiuta. Non forza, non fa pubblicità ne “campagna elettorale”. La porta attraverso la quale Dio entra nella storia è il cuore di chi lo accoglie, in silenzio. Egli viene a compiere la promessa di bene che c’è nel cuore di ciascuno. Non magicamente, ma accompagnando il nostro cammino umano con la sua potenza divina. La presenza di Dio, per chi la accoglie, ha le sembianze di una vita nuova, che come un bambino è fragilissima eppure ricca di potenzialità. Chi se ne prende cura la vede crescere giorno dopo giorno, e piano piano si accoglie dello straordinario che sta in quella vicenda intima, apparentemente così nascosta. Dio cambia il mondo a partire dal cuore di chi lo accoglie. Non fa salvezza lontano, in modo che la si debba rincorrere, guadagnare, meritare. Lui è salvezza, dentro la vita concreta, non conta se essa è limitata e marginale, anche la mangiatoia di Betlemme lo era.

 

C’è un potere che Dio porta con se, ma per consegnarlo a noi. È il potere di diventare figli, di nascere di nuovo, non dalla carne e dal sangue, ma dal suo Amore fecondo (Gv 1,12-23). Chi accoglie è generato di nuovo. Chi fa spazio è inondato di nuova vita. Rinasce chi crede a lui, chi accetta di abbandonare le sue idee e i suoi idoli per mettersi in viaggio verso di lui. Non c’è bisogno di nessun requisito iniziale. Non importano i giudizi, né quelli del mondo né quelli durissimi che ciascuno pronuncia per se stesso. Non c’è buono o cattivo, adeguato o inadeguato, sufficiente o insufficiente. Non c’è ricco o povero, saggio o ignorante. Non c’è vicino o lontano, santo o peccatore. Davanti al Verbo eterno di Dio che si fa carne, davanti all’annuncio dell’Angelo ai pastori, c’è solo chi accoglie e chi rifiuta. Nella vita di chi lo accoglie, Dio nasce e fa germogliare una vita nuova che, come quella di un bambino in fasce, avrà bisogno di essere alimentata e custodita, ma che viene data in dono senza nessuna discriminazione. Anzi, Come un giorno il Verbo si fece carne in un lembo emarginato dell’umanità, anche oggi egli nasce in quell’angolo del cuore dove abbiamo nascosto le nostre debolezze. Egli viene ad abitare in noi là dove ci sentiamo inadeguati, non all’altezza. C’è posto per lui nel cuore proprio dove ci sono le nostre fragilità, i nostri limiti, la paura di non farcela, di non riuscire a vivere quello che vorremmo. C’è spazio per Lui che salva là dove il potere ci tiene prigionieri, ci mortifica, ci causa ribellione, frustrazione e tristezza, dove il passato ci tormenta con le sue ferite e le sue conseguenze che sembrano definitive. C’è un alloggio per lui là dove ci assale la paura di non trovare la strada della nostra realizzazione, o di
rovinare tutto a causa dei nostri errori, della nostra piccolezza.

 

Mettersi in viaggio dunque, ed accogliere, ma non basta. Una vita che nasce porta con sé un potenziale immenso che si dispiega nel tempo, che ha bisogno di cura e pazienza. Un neonato è fatto per diventare uomo, e molto di quel che sarà è del tutto imprevedibile per chi lo guarda. Così, Maria custodisce e medita. Custodisce, perché la frenesia delle cose non si porti via un dono così grande. Medita, e così accoglie sempre di nuovo il senso della sua vita. Chiamata ad essere madre di Dio, diventa madre giorno dopo giorno, vivendo in profondità la relazione con quel Dio bambino che cresce accanto a lei. La sua vocazione è impastata di fedeltà, di perseveranza. La sua identità le viene sempre di nuovo dalla relazione con quel bimbo. Così per noi. Giorno dopo giorno, sempre di nuovo in cammino, sempre di nuovo intenti ad accoglierlo, vediamo la sua vita crescere in noi, accogliamo da lui la nostra identità. Accogliendo sempre più pienamente lui diventiamo sempre più pienamente noi stessi.

 

Che il mistero del Natale ci possieda. Che non si spenga in noi l’eco di quella voce: “Oggi è nato per voi un Salvatore…”, e ci spinga sempre di nuovo a metterci in cammino verso di lui. Che la luce del verbo, che è la nostra vita, continui a risplendere in noi, e diradi nel nostro cuore quella la tenebra che ricopre la terra, quella nebbia fitta che avvolge i popoli (Is 60,2) e ci mostri la via della nostra concreta, autentica salvezza. 

Nessun commento:

Posta un commento