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sabato 25 dicembre 2021

Avvento

 Sulla soglia di un mondo nuovo

ripensando ai vangeli del tempo di Avvento



I discepoli di Gesù vivono sulla soglia della porta che il Signore ha spalancato per loro. Sono immersi nella realtà, ne patiscono le contraddizioni, ne godono le risorse, ne soffrono la decadenza, ne colgono le occasioni, ne sperimentano il travaglio. Il loro sguardo però, oltre la porta, contempla la promessa del regno. Anzi, proprio perché vivono sulla soglia, non solo contemplano, ma anche pregustano la pienezza e l’eternità, e inebriati da essa vivono ogni cosa con uno spirito diverso, nuovo.


I credenti vivono in un’umanità che ha respinto Dio, lo ha reso insignificante, lo ha dimenticato come si dimentica un vecchio ricordo imbarazzante. L’avventura dell’uomo senza Dio però, si rivela sempre di nuovo drammatica. Senza di lui, nulla costituisce un punto di riferimento stabile che resista alle avversità della vita e alla morte. Nulla garantisce salvezza dentro i limiti dell’umanità. Senza di lui nessuna morale regge davvero, nessuna prospettiva riempie davvero il cuore. Dentro questo smarrimento, alcuni si illudono pensando che il loro potere economico e sociale li salvi e li compia.   Alcuni vivono in un rassegnato fatalismo. Altri ancora consumano un eterno presente, succhiano con smania relazioni ed eventi, sempre ebbri e sempre vuoti, sempre gratificati e frustrati ad un tempo. 


Senza Dio l’umanità è travolta dalla sua caducità, la finitezza delle cose, di tutte le cose. Tutto passa, il cielo e la terra passeranno. Passano le strutture degli uomini, le loro organizzazioni. Entrano in crisi le tradizioni, le costruzioni, i progetti. Le istituzioni più solide e fondate, anche quelle religiose, prima o poi vedono la crisi e passano. Tanto più hanno la pretesa di essere stabili, eterne, tanto più fanno danni quando la loro natura, fisiologicamente caduca, le fa scricchiolare, vacillare, implodere.  Chi si prodighi a tenerle in piedi, ottiene lo stesso risultato che si avrebbe tentando di rianimare un cadavere. Davanti a questo panorama, a questa ciclica distruzione, qualcuno annunciano sventure, disgrazie che sono castighi, orizzonti angosciati di giudizio severo, di condanna, di eterna pena. Qualcuno cerca di darsi certezze annunciando l’arrivo della fine del mondo, o identificando in un luogo o in una persona l’arrivo del regno o il ritorno del Signore. Le parole di Gesù sono chiare: “nessuno conosce il giorno e l’ora”. E ancora “vi diranno: “eccolo qui… sono io…” non credeteci, non andateci”. 



I discepoli di Gesù vivono intensamente questa vicenda e ne patiscono il travaglio, ma non vi restano imprigionati perché abitano sulla soglia, vigilano. Stanno svegli non perché temono che la decadenza del mondo , ma perché non vogliono esserne inquinati e travolti. Vogliono custodire e rinnovare ogni giorno la forza di sfuggire a questi inganni, alle paure, alle finzioni che impoveriscono e impediscono la vita, al mito dell’uomo autosufficiente, gonfio della propria illusoria autonomia o arrabbiato contro il suo eterno vuoto, ma sempre intento ad esorcizzare la morte. I credenti non temono di morire, ma di non riuscire ad accogliere la pienezza del dono di Dio, di non vivere in maniera autentica e compiuta. Stanno svegli non come chi, a causa dell’angoscia o della smania, è stato abbandonato dal sonno. Nemmeno però dormono il sonno incosciente e presuntuoso di chi pensa di bastare a se stesso. La loro vigilanza è a tratti faticosa, ma serena, attende l’incontro con l’amato, il compiersi di un amore che già li tiene in vita, ma che promette un orizzonte sempre più grande e che si compirà all’arrivo dello sposo.


Gesù Cristo è venuto a portare salvezza. Egli invita i suoi discepoli a non pretendere di incasellare il tempo e la storia. Arrovellarsi cercando di stabilire il giorno del giudizio e della fine è una diabolica perdita di tempo. Piuttosto i discepoli approfondiscono la relazione di fiducia con il loro salvatore. Mentre il mondo vacilla, mentre le sue strutture implodono, mentre avanza la sua cultura, fatalmente segnata dalla morte, i credenti  si alzano in piedi e levano lo sguardo al di la della soglia, oltre la porta che fa loro contemplare il regno. Essi non sono preda della paura, non temono, confidano nel loro Signore. Non hanno la smania di conoscere il futuro, sanno che esso è nelle mani del Salvatore, e che uniti a lui sapranno affrontare ogni evento.


Davanti alle alterne vicende della storia, i credenti non fuggono, non cercano qualche tecnica per annebbiare i sensi, per proteggersi in una bolla ovattata di inconsapevolezza. Non si perdono in esagerazioni e in ubriachezze. Restano presenti e lucidi perché sanno che proprio lì, dentro la storia concreta il Signore viene loro incontro. Egli è presente, e i suoi non vogliono rischiare di essere assenti, di disertare l’incontro.  Quella del Signore è una presenza dinamica, egli arriva, sempre di nuovo. Passa e mette in moto il cammino, lo orienta, lo rinfranca. Si presenta in una parola, nel volto di un fratello, in una ferita da sanare, in una fatica da leggere con speranza. Per questo è importantissimo, irrinunciabile, ma non sufficiente vivere di appuntamenti saltuari (quello ad esempio dei sacramenti). I credenti vegliano per essere sempre presenti, sviluppano una particolare sensibilità alla sua voce per cogliere ogni soffio del suo passaggio, ogni piccolo segno del suo sorprendente farsi vicino. 


I discepoli di Gesù non si accontentano però di attendere, di vegliare, di cercare la presenza del Signore. Essi anche agiscono. Sanno bene che il loro impegno per la giustizia non basta, non basta la loro carità, non è sufficiente il loro impegno, ma questo non ferma il loro impegno. Essi fanno tutto quello che possono senza disperare, senza provare disillusione o senso di fallimento. Lavorano sapendo il Signore compie la loro fatica. Misurare i risultati è troppo poco per loro, essi vivono proiettati nella causa del regno che va ben oltre i conti degli uomini, anzi, talvolta li stravolge. Non contano solo sulle loro forze, le mettono in campo con generosità e dedizione attendendo il più forte, colui che porta la salvezza. 

I discepoli del Signore vivono nel mondo, ma hanno accesa nel cuore la fiamma viva di una promessa che si compie nell’eternità. Sono saldamente ancorati tanto alla terra quanto al cielo. Vivono nell’intimità con lo sposo l’anticipo del paradiso, e portano nella concretezza della quotidianità la sua luce, la sua speranza. Pregano, vegliano, lavorano,  si impegnano nelle umane attività, soffrono, consolano, camminano, accolgono e patiscono rifiuto, piangono e cantano, ma sempre nel loro cuore vi è un’invocazione, che è domanda, ma muove da una certezza, è il grido sommesso e incessante: “Maranatha, vieni Signore Gesù”.

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