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sabato 15 luglio 2017

Il ristoro dell'anima

Trovare pace

Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

* * *

Sembra impossibile, ma il dettaglio più strano e un tantino fastidioso di questo Vangelo è un punto di partenza ideale per comprendere l’esultanza di Gesù. Il giogo è uno strumento di fatica, richiama alla mente uno sforzo animale e sembra strano e fastidioso che Gesù lo proponga ai suoi discepoli addirittura come fonte di ristoro. A pensarci bene però, una vita che rifiuta la fatica, rifiuta ad un tempo di mettersi in gioco, di investire energia in qualsiasi cosa, e finisce fatalmente per svuotarsi, diventando triste e insignificante. La vera questione saggia per una persona è chiedersi in che cosa valga la pena di investire le proprie energie. La proposta di Gesù è un’alternativa a quella che la tradizione ebraica considerava da secoli l’unica proposta possibile.

Il giogo fecondo, l’unica fatica utile, consisteva per gli ebrei nello sforzo di conoscere e rispettare la legge. dentro a questo sforzo però c’era e c’è un’ambiguità fatale. Chi immagina la fede come un complesso di cose da fare, come una morale da rispettare, impara le regole (o se le sceglie in base al gradimento) e le osserva, si sente a posto e non percepisce nessun desiderio di aprire il cuore a Dio. Fatalmente in questo caso la legge produce chiusura nei confronti di quel Dio che avrebbe dovuto indicare! Gesù non se la prende con la conoscenza, ma sperimenta nei fatti che i dotti e i sapienti si sentono autosufficienti, e per questo lo rifiutano. La loro non è conoscenza profonda di Dio, relazione con lui attraverso il suo Figlio, ma solo conoscenza di norme. Che aridità in tutto questo. Coloro invece che si sentono piccoli, bisognosi, non si chiudono in se stessi ma tengono aperto il cuore, la porta delle relazioni, per questo accolgono il Maestro. Il Giogo che Gesù è venuto a portare, al posto di quello della legge, è il Giogo della relazione. Aprire il cuore, cercare il Signore, accoglierlo con il desiderio di far crescere una relazione con lui non è certo una passeggiata. Lasciarsi amare da Dio, rispondere a questo amore, vivere la propria vita nel segno di questo amore non è facile, comporta una fatica, un giogo, ma questo sforzo è quanto mai fecondo. Al posto della sterile fatica della legge, Gesù propone quella feconda dell’amore, da accogliere con umitlà e mitezza; una fatica che porta nel cuore il frutto splendido del ristoro, della pace. Sì, perché il vero riposo, quello che penetra nel cuore e nell’anima e li ristora, non è il riposo vuoto del non fare niente, ma il riposo che si trova nel sapersi sempre di nuovo amati e rinnovati dall’amore. Oggi più che mai, sappiamo bene come riposare il corpo, ma rischiamo sempre che il nostro cuore rimanga affaticato e oppresso. Perché non rischiare? Perché non affrontare il cammino, anche faticoso, di aprire il cuore a Dio per accogliere il suo amore, il suo ristoro?




“…mite e umile di cuore…” pensieri sparsi…


Un cuore assetato di Dio, che trova nella conoscenza della sua parola una fonte alla quale abbeverarsi, sarà colmo di gratitudine per la possibilità che ha di scoprire ogni giorno di nuovo un tratto del volto splendido di Dio. Imparerà sempre cose nuove, si arricchirà di conoscenza e la accoglierà nell’umiltà perché la considererà un dono; godrà con semplicità e limpidezza di quello che sa; sarà grato per aver avuto questo dono e non avrà mi la pretesa di appropriarsene. Un autentico credente non riterrà il suo essere piccola creatura una condizione da vivere con senso di inferiorità, con invidia, non cercherà di liberarsi dalla percezione della sua piccolezza ne costruirà muri per nasconderla o armi per difenderla. Sarà invece mite. Riconoscerà sempre di nuovo la sua piccolezza, mai considerandola motivo di sconforto ma sempre affidandola a Dio e al suo amore. Un credente sa che la sua piccolezza è amata, desiderata, una perla che Dio considera preziosa. Gesù si trova davanti ad un panorama ben diverso da questo. Coloro che hanno avuto la fortuna di conoscere la legge di Dio, la sua Parola, la esibiscono come una dimostrazione di superiorità. Conoscere la legge non è servito loro ad accogliere Dio, ma ad appropriarsi indebitamente di uno strumento di potere. Dicono e non fanno, sanno ma non vivono. Legano pesanti fardelli, ma non vogliono spostarli neppure con un dito. Invece che imparare dalla legge l’umiltà, l’hanno trasformata in strumento di superbia. Invece di considerarla strumento per aprire il cuore a Dio e porre in lui la sua fiducia, si sono fidati solo del proprio sapere. Quante volte sperimentiamo questa tentazione? Quante volte ci ritagliamo un pezzetto di legge da rispettare, e sulla quale fondare la nostra certezza? Quante volte rischiamo di sentirci a posto, o fuori posto, non perché abbiamo cercato Dio ma perché ci sentiamo fedeli o trasgressori?

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