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lunedì 13 agosto 2018

C'è fame e fame...

C’è cibo e cibo...

Gv 6,24-35


Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!



Sembra proprio che il desiderio di conoscere Gesù sia fortissimo. La gente lo cerca, lo segue, finalmente lo trova, ma subito il Maestro placa gli entusiasmi con una scomoda verità: Non è vero che cercano lui. 

Non importa a questa gente di Gesù, e lui lo dice loro chiaramente: “voi mi cercate perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati”. Potrebbe essere chiunque Gesù, a loro non interessa di sapere chi è. Non sono spinti dal desiderio di sapere qualcosa di lui, ma da quello di rispondere ad un bisogno materiale. Gesù è per loro solo un’occasione da sfruttare. La loro stessa domanda: “quando sei venuto qui?” Tradisce non il desiderio di conoscerlo, ma quello di controllarlo, di capire i suoi movimenti, di manipolarlo in qualche modo.

Con pazienza il Maestro fa loro notare che, mentre sono accecati dal bisogno di pane, non sia accorgono che c’è un bisogno più grande nel loro cuore. Cercano di riempire la pancia, ma questo farà sperimentare loro sazietà, non pienezza. Mangeranno, ma avranno di nuovo fame. Crederanno che la pancia piena faccia finalmente sperimentare loro pace, ma il cuore resterà triste, disorientato, affamato di qualcosa che il cibo non può dare. Secondo Gesù la ricerca di questa gente è malata, deviata, deformata. Ma da quali malattie?

La prima: la superficialità. Cercare solo pane materiale, interessarsi degli spostamenti di Gesù ma non della sua identità, non farsi alcun tipo di domanda sul miracolo della moltiplicazione dei pani appena accaduto per opera sua. Tutti fatti che ci parlano di superficialità. Questa gente, che pure percepisce nel cuore un sentimento di frustrazione, di mancanza, sembra oppressa da un specie di pigrizia cronica, un ostacolo che impedisce loro di andare un po’ più in la di quello che è evidente, appariscente, spontaneo.

La seconda: il materialismo. Questa gente è abituata a pensare solo alle cose ben visibili, quelle che si manifestano fuori, nel corpo, o quelle che creano nel cuore effetti rumorosi, evidenti. Sono abituati a prestare attenzione solo a realtà che picchiano forte, che non ti lasciano tregua, a quelle realtà, sentimenti, bisogni che, come la fame, chiedono con insistenza, con prepotenza una soddisfazione. Noi lo sappiamo, ci sono in noi molti generi di fame oltre a quelle del corpo, della carne. Abbiamo fame di essere confermati, di sentirci bene agli occhi degli altri. Abbiamo fame di essere amati, di poter ricevere e dare affetto, di sentirci sicuri, sereni, non attaccati dalla realtà e dagli altri. Ce ne sono altri meno prepotenti, ma più profondi. Non sempre è spontaneo prestarvi attenzione, anzi, a volte è spontaneo trascurarli. Non è detto però che ciò che fa più rumore sia più importante, così a volte si rischia di trascurare ciò che conta di più.

La terza: lo sguardo all’indietro. La folla che segue Gesù misura tutto a partire dal passato. Eppure lo stesso Mosè, che essi prendono come riferimento, ha guidato il popolo a seguire un Dio che prometteva futuro. Continuamente però la folla torna al passato, a quello che è stato, agli splendori antichi che, purtroppo, non ci sono più; e siccome Dio agisce e parla nel presente e promette futuro, questa gente che guarda il passato non lo sa riconoscere.

Questo vangelo parla in profondità alla nostra vita. Sappiamo bene che la nostra vita ha bisogno di qualcosa di più che le cose materiali. Molti santi, molti credenti ci hanno testimoniato che un cuore pieno di Dio può riempire di pace e di forza anche un corpo affamato, ma sappiamo che la pancia piena, una vita piena di cose non può mai riempire il cuore. Eppure continuiamo a pensare che la nostra felicità sia legata al benessere materiale o alla soddisfazione di qualche bisogno prepotente. Forse invece non pensiamo così, ma nella pratica ci riduciamo ad essere schiavi dei molti generi di fame che ci sono dentro di noi. Nulla può darci vita, se non Dio, e fin che non accogliamo la presenza del Creatore, saremo sempre creature svuotate, tormentate, insoddisfatte. Possiamo fare di tutto per mantenere la vita, possiamo drogarci di “cibi” che plachino ogni “fame” che c’è in noi, ma sempre nel nostro cuore rimarrà un vuoto, un posto che può essere occupato solo da Dio. Solo Dio ha la vita, e se non accettiamo di lasciare che lui ci nutra di vita, che ci regali la sua vita, vivremo sempre incompleti. Solo lui è la nostra pienezza, la nostra pace.

L’insoddisfazione, il vuoto del cuore, a volte ci fa diventare nostalgici, affezionati al passato, legati a quello che un tempo ci dava pace, ora non più. Pensare che il bene sia nel passato significa allontanarlo da noi e mettere in luce tutto il nostro limite. Non siamo capaci di fabbricarci il nostro bene, al più ci ricordiamo di quello che abbiamo già vissuto. Abbiamo bisogno di imparare ad accogliere Dio qui ed ora, nel presente, per quanto inadeguato e difficile esso ci possa sembrare. 

Accogliere la presenza di Dio sazia la fame del nostro cuore, ci dona pace e con essa nuova forza, nuova luce per guardare al presente e al futuro con speranza, con la capacità di accogliere e costruire il bene. Con grande coraggio dobbiamo guardarci dentro, riconoscere quali generi di fame ci rendono schiavi, ci legano alla materialità, alla superficialità. Lo Spirito ci aiuti ad avere questo coraggio, a riconoscere e accogliere Dio nel presente, perché egli nutra la nostra vita, doni pace al nostro presente e speranza al nostro futuro.

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