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venerdì 22 luglio 2016

...Per non disperdere...


Non scegli? ...non servi!

Lc 10,38-42

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».

   

venerdì 22 aprile 2016

L'origine di tutto

Propagazione

Gv 10,27-30

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

“…come io vi ho amato!” Qualsiasi ragionamento inizia da qui! Inizia da qui la vita del credente, la sua fede, la sua testimonianza. Tutto ha origine in questo amore. “Vi ho amato” nella lingua greca è un’espressione che ha il senso del definitivo. Prima di tutto, prima dei nostri limiti, prima dei nostri pensieri, prima delle nostre domande, sta questo amore di Dio per ciascuno di noi. Un Amore definitivo, che dura per sempre che non ha limiti ne confini nello spazio e nel tempo, che non può essere ostacolato da nulla, che vuole incontrare il peccato per sanarlo, la debolezza per ristabilirla, l’errore per illuminarlo. Questo Amore così grande, è altrettanto straordinariamente gratuito! Non chiede di essere ricambiato, ma di essere donato, di allargare le sue ali su altre persone. Gesù non dice… amate me come io ho amato voi. Dice: come io vi ho amato, amatevi! Il desiderio di Dio non è di avere un ritorno; egli ci invita piuttosto a diventare strumenti di questo amore, perché attraverso di noi esso si espanda e raggiunga più persone possibile. La gloria di Dio consiste in questo, nell’amore che riempie il cuore, e che attraverso di esso si espande. Questa, per Gesù, è anche l’unica ricetta dell’annuncio. La fede vera, autentica, profonda, nasce quando si resta affascinati dall’amore, quando ci si scopre immensamente amati e si sente il desiderio di espandere questo amore. Questo dev’essere allora il nostro impegno, non solo perché la nostra fede sia autentica, ma anche perché lo sia la nostra testimonianza: riscoprirci Amati da Dio, al punto da essere riempiti del suo Amore. In questo consiste anche la nostra vita cristiana: lasciarci riempire d’amore perché esso diventi il nostro stile di vita, il soffio che spazza via l’indifferenza, il calore che ci rende accoglienti e premurosi, la forza che ci sostiene nel cominciare sempre di nuovo a VOLERE il BENE, ad Amare concretamente coloro che incontriamo sul cammino.

martedì 19 aprile 2016

Esperienza passata o relazione presente?

Ripartire dall’Amore

Gv 21,1-19


In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».



…”io vado a pescare” …”Veniamo anche noi!”. Come i discepoli, anche noi rischiamo di vivere la fede come una parentesi, l’incontro con il Signore come un fatto isolato della nostra vita. Al limite pensiamo che la Parola sia un racconto con una morale, un criterio da mettere in pratica nella quotidianità. Pietro torna a fare quello che faceva prima. Ora Gesù è morto e risorto, la vicenda è in qualche modo conclusa. Si torna alla vita normale dunque, arricchiti di un’esperienza in più. La fede vissuta in questo modo però è fallimentare come la pesca di quella notte. Nessun pesce nella rete, nessun guadagno per il cuore, che diventerà capace di seguire leggi, ma che non si sentirà riempito di gioia, di realizzazione, di energia nuova. Gesù abbandona ne i discepoli ne noi a questi pensieri riduttivi e sbagliati. Egli continua a farsi presente. Ci risulta difficile, quasi impossibile riconoscerlo nella confusione del cuore che le nostre giornate ci portano a vivere, eppure egli c’è. Giovanni, il discepolo della relazione più intima e profonda con il Maestro, lo riconosce. Pietro corre da lui. Lo incontrano, egli li ristora con il cibo, il fuoco acceso, la sua presenza di pace, poi si rivolge a Pietro e fa una domanda che raggiunge noi: “Mi ami?”. Gesù non è un Maestro al quale obbedire, non un legislatore da temere. Egli cerca con noi una relazione, ed è a partire da essa che il nostro cuore cambierà, e con esso la nostra vita. Non serve l’amore eroico (“mi ami” traduce questo dalla lingua greca); è sufficiente che ciascuno di noi apra il cuore ad una fede che è relazione di accoglienza, di amicizia con Gesù. (…mi vuoi bene?). Apriamo il cuore al Signore, egli conosce tutto di noi. Cerchiamo da lui non una legge da rispettare, un insegnamento da praticare. Il suo dono è molto più grande: egli ci offre il suo amore da accogliere. Lasciamo che il nostro cuore si riempia di questo amore: allora la nostra fede sarà davvero capace di illuminare tutta la vita.

Le nostre piaghe, le sue piaghe...

Il perdono guarisce

Gv 20,19-31



La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


Chiusi nel cenacolo, chiusi nelle loro paure, ancora delusi da se stessi, dalla loro infedeltà al Maestro, ancora incapaci di comprendere la portata della risurrezione. La reazione di Tommaso manifesta in fondo il disagio di tutti. Come avere fiducia negli altri, come credere alla loro testimonianza, visto che sono stati tutti così meschini davanti alla croce di Gesù? Che senso avrebbe restare insieme, se nel gruppo dei dodici continuasse a regnare solo la paura? Questo non sarebbe un modo per tradire ancora Gesù? L’assenza di Tommaso dal cenacolo è il sintomo di una “malattia” che potrebbe disgregare il gruppo dei dodici, trascinandoli nella rassegnazione, facendo nascere in loro solo rabbia e desiderio di dimenticare. Anche le nostre comunità a volte rischiano questo. Rischiamo di ripiegarci in noi stessi, di non riuscire più a guardare alla realtà con speranza. Rischiamo di vedere solo i limiti, di noi stessi, della nostra parrocchia, degli altri che vivono, pregano e credono con noi. Rischiamo di guardare alla chiesa come ad una realtà solo umana, capace solo di tradire miseramente Cristo, suo Maestro.
Nel cenacolo di Gerusalemme accade però l’imprevisto. Gesù Risorto appare ai suoi, proprio lui, in persona. È un Gesù concreto, mostra le ferite per dire ai suoi discepoli feriti che egli condivide la sua condizione. Mostra le piaghe della croce da risorto per dire che egli è in mezzo a loro per questo, per portare riconciliazione, guarigione, pace. Gesù risorto è in mezzo a noi per questo, per dirci che condivide le nostre ferite, le porta su di se, vuole vincerle. Gesù è con noi per dirci che non dobbiamo rassegnarci alle fragilità ma affidarci alla sua forza; egli ci dona il suo spirito perché le tensioni e le amarezze non dividano, ma il nostro cuore sia capace di quella concreta riconciliazione che risana. Gesù da a quegli uomini il potere e la responsabilità di rimettere i peccati, di fare riconciliazione, perché egli è risorto per questo, per far regnare le vita sulla morte, la riconciliazione che fa rivivere sul peccato che uccide. In questa domenica della Misericordia chiediamo a Dio che ci aiuti a fare un’esperienza sempre più profonda della riconciliazione con lui, per diventare nella chiesa e nel mondo portatori di riconciliazione e di vita.

Ti chiama per nome!

Risorto per te

Gv 20,1-11

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.


Il mattino è alle porte, forse già il nero del cielo si sbiadisce, ma c’è ancora buio nel cuore di Maddalena. il sole di Cristo Risorto è alle porte, ma ancora in lei regna la tristezza del sepolcro. Così nel cuore dei discepoli. Anche loro annaspano nel buio, stupiti dal fatto che Maddalena racconta, eppure ancora incapaci di comprendere. Maddalena, Pietro, Giovanni, i discepoli, tutti noi siamo abituati a pensare che il sepolcro è un posto definitivo, la parola fine. La pietra sulla tomba è un’immagine chiara di questo. Il sepolcro di Gesù, sembra la parola fine sulla sua vita, ma anche sulle speranze dei suoi, sul sogno che egli aveva condiviso con loro. Sembra finito il tempo nel quale si poteva godere della presenza del Maestro, della sua amicizia profonda. Sembra finito il tempo in cui la sua sapienza rischiara la vita, illumina il cuore, aiuta a riprendere coraggio e a guardare con verità alla propria esperienza. Tutto sembra finito, anche se il cuore non vorrebbe rassegnarsi. Anche nella nostra vita ci sono molti sepolcri. In alcuni ci abbiamo sotterrato esperienze sbagliate, cammini conclusi, realtà deludenti. In altri però ci abbiamo messo realtà importanti che non siamo in grado di gestire, desideri di cambiamento che troppe volte, alla prova della pratica, si sono rivelati troppo deboli. A volte ci capita di seppellire qualche relazione, e immaginiamo che essa debba restare per sempre limitata, deformata, distrutta. Ci capita di seppellire un pezzo di noi stessi, delle nostre aspirazioni, del nostro desiderio di realizzazione, di pienezza, di felicità. Viviamo allora rassegnati, portiamo dentro un sentimento di sottile delusione che ci fa male; cerchiamo di allontanarlo con mille diversivi e attività, ma quando restiamo soli con noi stessi, sempre questo buio riemerge. Oggi è un giorno grande perché in tutto questo buio risplende il sole di Cristo. Il sepolcro c’è, ma è vuoto. È difficile rendersene conto, così Maddalena piange, Pietro e Giovanni corrono con in testa chissà quante domande e in cuore chissà quali sentimenti. Ci vuole un po’ di tempo e un po’ di calma perché Giovanni per primo realizzi cos’è accaduto. Il Signore lo aveva promesso, è risorto! Crede Giovanni, pone cioè tutta la sua fiducia in quel Gesù, anche se in quel momento non lo vede. Anche noi come Giovanni abbiamo bisogno di ricordare la Parola di Dio, di prenderci un attimo di calma per stare con lui. Allora entrerà anche in noi la forza che squarcia le tenebre, che sventra i sepolcri, che fa sbocciare vita nuova dove c’era morte, speranza dove c’era sconfitta, forza per il cammino dove c’era rassegnazione.

Sguardo che guarisce

L’Amore resta Amore

Lc 22,31-34.54-62

Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli». E Pietro gli disse: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Gli rispose: «Pietro, io ti dico: oggi il gallo non canterà prima che tu, per tre volte, abbia negato di conoscermi».

Dopo averlo catturato, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno; anche Pietro sedette in mezzo a loro. Una giovane serva lo vide seduto vicino al fuoco e, guardandolo attentamente, disse: «Anche questi era con lui». Ma egli negò dicendo: «O donna, non lo conosco!». Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei uno di loro!». Ma Pietro rispose: «O uomo, non lo sono!». Passata circa un'ora, un altro insisteva: «In verità, anche questi era con lui; infatti è Galileo». Ma Pietro disse: «O uomo, non so quello che dici». E in quell'istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore si voltò e fissò lo sguardo su Pietro, e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

“Sono pronto alla prigione e alla morte!”. Nel suo slancio, Pietro non mente. Questo è quello che vorrebbe, questo immagina per se. Vorrebbe essere fedele per sempre, in maniera integrale a Gesù, che con il suo insegnamento e la sua amicizia profonda gli ha cambiato la vita. Pietro vorrebbe essere tutto d’un pezzo, si immagina così: capace di affrontare qualsiasi ostacolo in favore di quell’amico fraterno e intimo che gli ha ridato vita, che gli ha insegnato il senso dell’esistenza, che gli ha fatto scoprire il volto vero di Dio. Vorrebbe, ma non conosce a sufficienza se stesso, la sua fragilità, la sua miseria. Le sue promesse sono straordinariamente belle, lo slancio del suo cuore è nobile, ma non fanno i conti con le miserie e le fragilità che ugualmente lo abitano, che quotidianamente segnano il suo agire. Gesù invece conosce profondamente, gli vuole un bene vero, immenso, incondizionato. Per questo fa un gesto che ora forse ferisce Pietro, ma che poi lo salverà: con senso di realismo, con sofferta tenerezza, gli preannuncia il suo tradimento.
Nel cortile del sommo sacerdote, il fuoco illumina e riscalda la notte, ma il cuore di Pietro è reso buio e gelido dalla paura. Avrebbe voluto essere fedele, ma la paura lo fa traditore. Avrebbe voluto essere sincero, testimoniare la sua amicizia reale con Gesù, ma la paura lo fa codardo e bugiardo. Tradisce l’amore di Gesù per lui, ma anche il suo amore per Gesù. Rinnegando il maestro, egli rinnega drammaticamente se stesso.
Se Pietro dovesse prendere coscienza da solo di questo dramma, delle sconfortanti dimensioni della sua miseria, forse ne rimarrebbe schiacciato. Invece la presa di coscienza viene da uno sguardo d’Amore: quello di Gesù. Gli occhi del Maestro riportano alla luce, nel suo cuore, un ricordo: Gesù sapeva già, egli conosce profondamente il suo cuore, più di quanto non lo conosca lui stesso. Ora il Maestro non distoglie lo sguardo da Pietro, come per disprezzarlo, per rifiutare il traditore e troncare le relazioni con lui. Al contrario, Gesù lo guarda, quasi a ristabilire l’amore. Sembra quasi dire Gesù: “Ricordi Pietro? …ti avevo preannunciato che saresti stato fragile. Lo sapevo, ma come non ti ho rifiutato allora, conoscendo il tuo limite, così non ti rifiuto ora che il limite è divenuto scelta di peccato.”. Pietro esce e piange, di un pianto che non lo renderà disperato e rassegnato, ma che scioglie le nubi che opprimevano il suo cuore. Conosce se stesso, ma contemporaneamente conosce l’immenso Amore di Cristo, un amore che avvolge anche i suoi limiti in un solo abbraccio; un Amore che lo rinnova e lo fa rivivere. Per questo Amore, tra poco, Cristo salirà sulla croce, perché il suo dono non raggiunga solo Pietro, ma tutti noi. Contemplare la Croce significa sempre, per tutti noi, fare luce sulla nostra miseria, ma anche scoprire sempre di nuovo che essa è avvolta dall’Amore misericordioso di Cristo. Fare verità nel cuore è compito tanto necessario quanto duro, ma chi si lascia sostenere dall’Amore di Cristo nulla teme nel cammino verso il bene!