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lunedì 13 agosto 2018

C'è fame e fame...

C’è cibo e cibo...

Gv 6,24-35


Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!



Sembra proprio che il desiderio di conoscere Gesù sia fortissimo. La gente lo cerca, lo segue, finalmente lo trova, ma subito il Maestro placa gli entusiasmi con una scomoda verità: Non è vero che cercano lui. 

Non importa a questa gente di Gesù, e lui lo dice loro chiaramente: “voi mi cercate perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati”. Potrebbe essere chiunque Gesù, a loro non interessa di sapere chi è. Non sono spinti dal desiderio di sapere qualcosa di lui, ma da quello di rispondere ad un bisogno materiale. Gesù è per loro solo un’occasione da sfruttare. La loro stessa domanda: “quando sei venuto qui?” Tradisce non il desiderio di conoscerlo, ma quello di controllarlo, di capire i suoi movimenti, di manipolarlo in qualche modo.

Con pazienza il Maestro fa loro notare che, mentre sono accecati dal bisogno di pane, non sia accorgono che c’è un bisogno più grande nel loro cuore. Cercano di riempire la pancia, ma questo farà sperimentare loro sazietà, non pienezza. Mangeranno, ma avranno di nuovo fame. Crederanno che la pancia piena faccia finalmente sperimentare loro pace, ma il cuore resterà triste, disorientato, affamato di qualcosa che il cibo non può dare. Secondo Gesù la ricerca di questa gente è malata, deviata, deformata. Ma da quali malattie?

La prima: la superficialità. Cercare solo pane materiale, interessarsi degli spostamenti di Gesù ma non della sua identità, non farsi alcun tipo di domanda sul miracolo della moltiplicazione dei pani appena accaduto per opera sua. Tutti fatti che ci parlano di superficialità. Questa gente, che pure percepisce nel cuore un sentimento di frustrazione, di mancanza, sembra oppressa da un specie di pigrizia cronica, un ostacolo che impedisce loro di andare un po’ più in la di quello che è evidente, appariscente, spontaneo.

La seconda: il materialismo. Questa gente è abituata a pensare solo alle cose ben visibili, quelle che si manifestano fuori, nel corpo, o quelle che creano nel cuore effetti rumorosi, evidenti. Sono abituati a prestare attenzione solo a realtà che picchiano forte, che non ti lasciano tregua, a quelle realtà, sentimenti, bisogni che, come la fame, chiedono con insistenza, con prepotenza una soddisfazione. Noi lo sappiamo, ci sono in noi molti generi di fame oltre a quelle del corpo, della carne. Abbiamo fame di essere confermati, di sentirci bene agli occhi degli altri. Abbiamo fame di essere amati, di poter ricevere e dare affetto, di sentirci sicuri, sereni, non attaccati dalla realtà e dagli altri. Ce ne sono altri meno prepotenti, ma più profondi. Non sempre è spontaneo prestarvi attenzione, anzi, a volte è spontaneo trascurarli. Non è detto però che ciò che fa più rumore sia più importante, così a volte si rischia di trascurare ciò che conta di più.

La terza: lo sguardo all’indietro. La folla che segue Gesù misura tutto a partire dal passato. Eppure lo stesso Mosè, che essi prendono come riferimento, ha guidato il popolo a seguire un Dio che prometteva futuro. Continuamente però la folla torna al passato, a quello che è stato, agli splendori antichi che, purtroppo, non ci sono più; e siccome Dio agisce e parla nel presente e promette futuro, questa gente che guarda il passato non lo sa riconoscere.

Questo vangelo parla in profondità alla nostra vita. Sappiamo bene che la nostra vita ha bisogno di qualcosa di più che le cose materiali. Molti santi, molti credenti ci hanno testimoniato che un cuore pieno di Dio può riempire di pace e di forza anche un corpo affamato, ma sappiamo che la pancia piena, una vita piena di cose non può mai riempire il cuore. Eppure continuiamo a pensare che la nostra felicità sia legata al benessere materiale o alla soddisfazione di qualche bisogno prepotente. Forse invece non pensiamo così, ma nella pratica ci riduciamo ad essere schiavi dei molti generi di fame che ci sono dentro di noi. Nulla può darci vita, se non Dio, e fin che non accogliamo la presenza del Creatore, saremo sempre creature svuotate, tormentate, insoddisfatte. Possiamo fare di tutto per mantenere la vita, possiamo drogarci di “cibi” che plachino ogni “fame” che c’è in noi, ma sempre nel nostro cuore rimarrà un vuoto, un posto che può essere occupato solo da Dio. Solo Dio ha la vita, e se non accettiamo di lasciare che lui ci nutra di vita, che ci regali la sua vita, vivremo sempre incompleti. Solo lui è la nostra pienezza, la nostra pace.

L’insoddisfazione, il vuoto del cuore, a volte ci fa diventare nostalgici, affezionati al passato, legati a quello che un tempo ci dava pace, ora non più. Pensare che il bene sia nel passato significa allontanarlo da noi e mettere in luce tutto il nostro limite. Non siamo capaci di fabbricarci il nostro bene, al più ci ricordiamo di quello che abbiamo già vissuto. Abbiamo bisogno di imparare ad accogliere Dio qui ed ora, nel presente, per quanto inadeguato e difficile esso ci possa sembrare. 

Accogliere la presenza di Dio sazia la fame del nostro cuore, ci dona pace e con essa nuova forza, nuova luce per guardare al presente e al futuro con speranza, con la capacità di accogliere e costruire il bene. Con grande coraggio dobbiamo guardarci dentro, riconoscere quali generi di fame ci rendono schiavi, ci legano alla materialità, alla superficialità. Lo Spirito ci aiuti ad avere questo coraggio, a riconoscere e accogliere Dio nel presente, perché egli nutra la nostra vita, doni pace al nostro presente e speranza al nostro futuro.

Fare i conti scordando il capitale

Il sogno di un bene più grande

Gv 6,1-15


Dopo questi fatti, Gesù passò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 

Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. 

Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.



Duecento denari di Pane sono davvero uno sproposito. Un denaro è la paga di un bracciante per un giorno. Per quanto poco possa essere il guadagno di un uomo assunto a giornata, duecento giorni di lavoro dovrebbero consentire l’acquisto di una quantità di pane davvero considerevole. Se anche si avesse tutto quel denaro, dove si troverebbe tutto quel pane in una volta? Quello che c'è si valuta in fretta: cinque pani e due pesci non possono certo nutrire una folla come quella che sta davanti a Gesù. Filippo e Andrea impersonano due dei nostri atteggiamenti buoni. Filippo sa gestire bene le cose, sa farsi due conti, è uno che sa amministrarsi bene, che non si fa incastrare da valutazioni sbagliate. Sa bene prendere le misure, fare le proporzioni. Andrea è qui l’uomo del realismo. Che cosa abbiamo? Solo cinque pani e due pesci. Dobbiamo rassegnarci, questo intervento non è alla nostra portata.

Non è certo a caso che Gesù ha preso questa iniziativa nei confronti dei suoi discepoli. La sua domanda, apparentemente un po' avventata, dotata di poco buonsenso, di poco realismo, serve in realtà a rivoluzionare il modo di ragionare dei dodici. Le proporzioni devono tenere conto non solo delle forze umane, ma del fatto che lui è Dio. Alla domanda infatti fanno seguito una serie di fatti che gradualmente e in modo sorprendente mostrano a Filippo, ad Andrea, a tutti i discepoli una nuova realtà, una nuova proporzione di cose. Gesù prende il pane, rende grazie (con un gesto che ricorda chiaramente l’eucaristia) e lo consegna, e così con il pesce. Nessuno commenta il miracolo, nessuno lo descrive, ma quel silenzio parla forte. Gesù è Dio. Gli uomini si piegano alla realtà, sono costretti ad arrendersi davanti ad essa. Dio invece la riempie, la plasma di nuovo, la rende finalmente sufficiente, adeguata al bene di tutti. Anzi, di più: la realtà diventa sovrabbondante, il cibo avanza. Dodici ceste, una per ciascuno dei discepoli! Meravigliati, increduli hanno distribuito, senza consumarli, cinque pani e due pesci a cinquemila uomini, e il loro intenso servizio non ha finito per svuotarli, al contrario, è diventato anche per loro fonte di sazietà. 

Il nostro problema è questo, che quando pensiamo lo facciamo in proprio. Così contiamo solo sulle nostre forze, dividiamo solo i nostri beni, mettiamo in fila le nostre capacità e disponibilità e alla fine… ci valutiamo non all’altezza, non attrezzati, e ci tiriamo indietro. Questa è un’ottima premessa ad un mondo triste, ingiusto, dove un po’ di risorse ci sarebbero, ma non sembrano sufficienti; dove i bisogni magari si vedono, ma non ci sembra di avere le possibilità per soccorrerli. Qualcuno pensa che la soluzione sia la condivisione, ma quel ragazzo, pur condividendo i suoi pani e pesci, non può che dar ragione al realismo di Andrea: non bastano! Che fare? Siamo forse tenuti a farci carico di ciò che è realisticamente più grande di noi? Sarebbe intelligente andare oltre il buonsenso? Sarebbe cosciente non considerare attentamente i conti?

Questi pensieri, queste conclusioni, sono umanissime, certo, ma non sono da credenti. Un credente sa di poter contare su Dio. Sa che il meglio che possa fare per se stesso e per gli altri è condividere il sogno di Dio, entrare con gioia in questo sogno, diventarne parte attiva, contribuire a costruirlo. Il sogno di Dio, un sogno di bene, di pace per tutti. Un sogno che ci chiede coraggio. Alle spalle una folla di bisognosi, di pane, di affetto, di comprensione, di attenzione… davanti a noi un Gesù che attende quel poco che abbiamo; sa bene che è insufficiente, ma attende che lo mettiamo nelle sue mani, che condividiamo il suo sogno. Potrebbe forse intervenire direttamente questo Gesù, questo Dio, ma preferisce coinvolgerci nel suo sogno, renderci strumenti del suo amore, perché sa che solo così possiamo sperimentare anche per noi pienezza. La nostra vita stessa è un dono, e non raggiunge la sua pienezza finché non esprime se stessa facendosi dono. 

Diventate dono, sembra l’invito forte di Gesù in questo episodio; non chiudetevi nella rassegnazione, non difendetevi con l’indifferenza. Lasciate che l’ingiustizia, la sofferenza, la povertà vi tocchino, e diventate dono. Non da soli, ma con me, che sono dono di vita e di amore per voi e per tutti.

...e le folle? ...le folle hanno trovato pane, ma senza troppe storie, troppe domande. Gesù si allontana perchè sa che questa gente, almeno per ora, non ha intenzione di farsi domande. Vedono segni, ma non ne sono interessati. L'occasione del pane sì li interessa, vorrebbero che Gesù diventasse loro re... sai che comodità, un re che ti toglie la fatica di guadagnarti il pane? Ma per scoprire qualcosa di più su questo bisogna proseguire la lettura del Vangelo.

venerdì 27 luglio 2018

Mettere ordine per trovare pace

Chi al centro?

Mc 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.     

Alcuni pensieri sul vangelo

Gli apostoli tornano dalla missioneche Gesù stesso li aveva inviati a compiere carichi di entusiasmo e di nuove esperienze, e raccontano al Maestro di questa missione. Qualcosa di strano? Qualcosa di male? No, certo, anzi, tutto nella norma. Le prole dell’evangelista però ci fanno intuire qualcosa che vale la pena di considerare. I dodici parlano di quello che avevano fatto e insegnato, in altre paroleraccontano di se stessi, delle loro fatiche, delle loro imprese, della loro capacità di trasmettere gli insegnamenti di Gesù, parlano di loro stessi insomma, si mettono al centro dei loro discorsi. L’invito di Gesù al riposo è molto più che un pensiero premuroso per le loro stanche membra. Questo riposo deve servire ai discepoli per rimettere in ordine le cose. Presi da ciò che è urgente fare, entusiasmati dalla missione consegnata loro, stanno correndo un rischioche tutti corriamo: quello di immedesimarci nelle nostre attività fino al punto di sentirci noi al centro, noi con le nostre idee, i nostri sforzi, le nostre realizzazioni, le nostre fatiche, i nostri progetti e le nostre ragioni, più o meno comprese dagli altri. 

Gesù vuole evitare per i suoi il rischioche l’attività si trasformi in attivismo che acceca, che fa perdere la fede perché spinge gli uomini a comportarsi come se fossero al centro del mondo, dimenticando Dio. Riposarsi in disparte, con Gesù, aiuta i suoi discepoli e noi a ricordare che non sono loro a salvare il mondo, che sono mandati da Dio, non sono essi stessi Dio. Tirare il fiato stando con il Maestro li aiuta a rimettere a fuocoil fatto che la missione non è loro, ma di chi li ha chiamati e voluto come collaboratori. La loro stessa vita, la loro realizzazione e pienezza, la loro salvezza insieme a quella dell’umanità, dipendono da Dio, non da loro.

Quello che accade poco dopo potrebbe sembrare contraddittorio, ma invece rafforza la stessa idea. Gesù incontra una folla di gente che evidentemente cerca qualcosa da lui. Con lo strumento della compassione entra in sintonia con loro. Non ha paura di lasciare che il loro disagio, il loro disorientamento, la loro sofferenza entrino nel suo cuore. Gesù non si lascia travolgere dagli eventi, dall’urgenza. Sembra non ascoltare nemmeno le loro domande, ha compreso qualcosa di più: hanno bisogno di quella buona notizia di salvezza che egli è venuto a portare nel mondo. Li fa sedere e insegna loro, facendo sperimentare anche a questa folla una forma profonda di riposo, quella di chi ha finalmente trovato un punto di riferimento sicuro per la vita. 

Il rischio è sempre lo stesso: Mettere al centro se stessi e le proprie attività, oppure mettere al centro il proprio riposo tradendo la missione, o semplicemente non sapere chi mettere al centro ed essere disorientati. La proposta di Gesù è la stessa, chiara e luminosa: bisogna regalarsi del tempoper tornare a mettere al centro Dio. bisogna ritirarsi ogni tanto nel deserto per sperimentare il vero riposo, che consiste nell’accogliere nel cuore un Dio che ti ama e ti guarisce, che con la sua luce ti aiuta a ritrovare il tuo posto, il senso delle tue fatiche, la forza di fare della tua vita un dono gratuito per gli altri. Oggi abbiamo bisogno di questo vangelo più che mai.

sabato 7 luglio 2018

Un limite che diventa risorsa

Una relazione che da vita

Mc 5,21-43

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare.E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedie lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva».Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici annie aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando,udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello.Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?».I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»».Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!».E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte.Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina.Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare




Giairo vorrebbe salvare sua figlia, ma è impotente

Egli è il capo della sinagoga, un autorevole rappresentante della religiosità di Israele, un esponente di spicco di quel sistema di leggi che avrebbe dovuto garantire la relazione con Dio, ma non può fare nulla. La sua paternità è impotente, la sua religiosità sterile, sua figlia muore! 

La sua impotenza si trasforma in supplica a Gesù: “vieni a imporle la mano”! Non spera forse in una guarigione, quest’uomo straziato dal dolore, ma chiede almeno una benedizione, un gesto potente. Lo chiede a Gesù, forse è la sua ultima spiaggia, forse crede che questo singolare Maestro potrà fare quello che nessuno ha potuto. Sarà così, ma non subito.

Per la strada una donna malata, ferita nella sua femminilità, è ormai schiacciata dalla disperazione. La sua vita è straziata perché una malattia le impedisce il miracolo più grande: quello di dare la vita. Il flusso di sangue mestruale che dovrebbe essere per lei fonte di pienezza, trasformandola in madre, è invece la causa della sua impurità e della sua malattia

Si era rivolta ad un medico, poi ad un secondo, ad un terzo, ad un altro ancora, nulla! Solo impotenza in loro, aggravata dall’inganno: le avevano prosciugato il patrimonio. Povera, malata, disperata, non ha nemmeno la forza di gridare, non trova più le parole da dire. In un ultimo, sfinito gesto si getta a toccare il mantello di Gesù, piena di fiducia che anche solo quella carezza rubata le restituirà la vita. Sarà così, guarirà; anzi, di più: sarà salvata, e dopo di lei anche la fanciulla, data ormai per morta, ritornerà alla vita. 

Non Giairo, non i medici, non la religiosità di Israele, non i soldi.  Non i progetti umani, non le nostre conoscenze: Solo Gesù da la vita. Tutto il resto la consuma, la saccheggia, la toglie. La stessa quotidianità sembra derubarci, e noi, come paralizzati a guardare al passato, o a ciò che ci sta passando davanti, viviamo a volte la vita come qualcosa che il tempo ci porta via, che la frenesia ci strappa a brandelli dalle mani. 

Nulla può darci vita, solo Dio. Nessuno può dare la vita se non Dio, perché solo lui la possiede e ne dispone. Possiamo sperare nelle possibilità degli uomini? Certamente. Dobbiamo mettere in campo le nostre conoscenza, le nostre energie, le nostre possibilità? Sarebbe disonesto il contrario. ma dobbiamo riconoscere anche il limite di tutte queste cose, se non vogliamo rimanere tristemente ingannati, depredati. I beni, le scoperte, le nostre capacità, le nostre convenzioni… tutto è buono per noi solo se però riconosciamo che la vita è di Dio, e la sua bellezza e pienezza dipendono dall’accogliere con gratitudine lui e la sua vita, prima e più che da tutto il resto.

sabato 16 giugno 2018

Piccolo ma potente!

Proporzioni o fiducia?



Mc 4,26-34

In quel tempo, Gesù Diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.



Altro che grandi progetti, altro che profonde analisi con illuminate conclusioni, altro che sistemi efficaci e strategie vincenti. L’atteggiamento del seminatore non porta in se nulla di tutto ciò. Niente calcoli, niente complicate previsioni. Solo semina e fiducia.

Qualcuno potrebbe pensare che con questa parabola Gesù suggerisca un atteggiamento un po’ disinteressato, in fondo irresponsabile. Lanciare il seme e andarsene, che contadino sarebbe quello che dovesse agire così?

Il discorso di Gesù ha a che fare innanzitutto con la sua missione. Perché il Maestro non si preoccupa di convincere tutti? Perché continua a girovagare, invece che fermarsi e attendere che tutti siano convertiti?

Sotto la scelta di Gesù sta una sapienza che egli descrive con questi due esempi che vengono dalla natura, e dai quali anche noi abbiamo la necessità di imparare.

Il granello di senape mette in ginocchio i ragionamenti sulle proporzioni. Piccolo com’è potrebbe far prevedere poco di buono dalla sua germinazione. Invece nella sua minuscola dimensione sta nascosto il potere di generare una grande pianta, la più grande tra quelle dell’orto. Un vero e proprio arbusto dentro il quale, persino, possono trovare riparo gli uccelli. Il vangelo porta con sé una potenza immensa. Per quanto sembri un piccolo seme, esso sa germogliare portando frutti straordinari, del tutto inaspettati.

L’annuncio del Regno non è fatto di parole umane, spesso vuote e inefficaci. Esso è Parola di Dio, viva e presente in Gesu Cristo e in tutti quelli che lo accolgono nel cuore e nella vita. La stessa Parola che ha creato il mondo, ecco perché è così potente.

D’altra parte l’annuncio del regno non è mai imposizione, ma sempre proposta. Gesù sa ciò che spesso noi non consideriamo, che cioè non sempre il terreno che accoglie il vangelo è pronto per essere seminato. Non sempre il cuore è aperto ad accogliere l’annuncio della salvezza, e questo non sempre e non solo per cattiva volontà; le stesse situazioni e condizioni della vita a volte impediscono al Vangelo di penetrare nel cuore.

Ecco perché l’uomo della parabola semina senza l’affanno di pensare già al raccolto. Egli sa che la cosa più importante da fare, nella quale investire davvero tutte le energie, è seminare, sempre, con frequenza, abbondanza e generosità. Seminare Vangelo, cioè lasciarsi abitare da esso fino a trasformare la nostra vita stessa in Vangelo, i nostri gesti in Vangelo. Vita e gesti capaci di comunicare una buona notizia che consista in un barlume di speranza, un po’ di consolazione, ristoro e guarigione, un po’ di bene dentro una quotidianità troppo spesso arida e grigia. Seminare, certi che prima o poi germoglierà con sorprendente potenza.

Non pre-occupiamoci di progettare l’annuncio del vangelo, occupiamoci piuttosto di accoglierlo, di lasciarci trasformare dalla sua potenza, di lasciare che esso sia seminato nel cuore degli uomini dai nostri gesti, piccoli ma potenti perché abitati dalla buona notizia di Dio.


Non è vero che l’evangelizzazione è cosa difficilissima, per specialisti. Non è vero che non possiamo fare nulla. Piuttosto è vero che forse abbiamo perso la fiducia nel sema, la capacità di spargere gesti di vangelo nella quotidianità. Viviamo il vangelo, diventiamo Vangelo: sarà un miracolo senza precedenti!

lunedì 19 febbraio 2018

Mostraci il tuo volto - sesto incontro

Chi dite che io sia?


Mc 8,22-38

Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».

Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. Infatti quale vantaggio c'è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».



Ä Prima di questi fatti… All’inizio del cap. 8, per la seconda volta Gesù moltiplica i pani e i pesci; dopo questo grande segno, si manifesta in maniera evidente l’incomprensione, che raggiunge qui un apice drammatico. Se a non capire erano stati prima i farisei con gli erodiani (3,6) e poi i suoi compaesani (6,2-6), qui sono addirittura i suoi discepoli.
Ä Gesù descrive questa incomprensione proprio con l’immagine della sordità e della cecità (vedi 8,18 e 8,21). La guarigione  di 8,22-26 ha allora una portata profondamente simbolica.
Ä Gesù impiega le sue forze per far uscire l’uomo (i suoi discepoli…) dal buio dell’incoprensione, e in questo surplus di fatica non sarà sufficiente un solo intervento risolutivo; sarà invece necessario un progressivo cammino caratterizzato dall’incontro illuminante con il Maestro.


Ä La vicenda del cieco è fatta di personaggi anonimi e passivi. Quelli che conducono il malato non chiedono nemmeno che egli venga guarito, ma solo toccato da Gesù. Il Maestro invece compie una serie di gesti, il primo dei quali è cercare un luogo isolato.
Ä Nonostante il grande impegno (molti gesti) la guarigione riesce solo in parte. Il cieco vede… una realtà deformata. Il nuovo intervento di Gesù lo riporta finalmente alla piena luce e capacità di vedere la realtà.
Ä I verbi che Marco sceglie per raccontare la guarigione sono molto significativi: Il cieco infatti, interrogato da Gesù, dice di vedere (24a, il verbo significa tornare a vedere), ma confessa che la sua vista è deformata, fragile. Dopo il nuovo intervento di Gesù vede chiaramente, (25b, il verbo significa Vedere attraverso), vede distintamente (25c il verbo significa vedere dentro).

Ä Cesarea di Filippo è un posto di confine. Dopo il suo pellegrinare dentro e fuori i confini di Israele, da qui inizia il viaggio che porterà Gesù a Gerusalemme, perché è là che si compiranno le profezie del Messia.
Ä Marco annota che il fatto si svolge per strada, durante il cammino. I discepoli sono chiamati a seguire Gesù, a sceglierlo di nuovo, ad accettare umilmente la sua guida. Per la strada seguirà Gesù un altro cieco guarito: Bartimeo, (10,52). La sua vicenda sarà un esempio di discepolato e concluderà il racconto delle vicende che caratterizzano il ministero di Gesù. Dal capitolo 11 con l’ingresso in Gerusalemme, Marco darà inizio al racconto della passione.
Ä Che cosa dice la gente? I discepoli riportano esattamente le opinioni di cui l’evangelista ci ha parlato in 6,14-15. Per l’opinione comune Gesù è un profeta.
Ä A questo punto però, giudicando implicitamente come inadeguate queste interpretazioni (…ma voi…) Gesù si rivolge ai discepoli:
o   Voi, non tu… una domanda collettiva. Pietro si fa forse portavoce di un’opinione maturata tra i dodici, forse espone la sua a nome di tutti. Sta di fatto che Gesù interpreta la fede come un fatto comunitario.
o   “Tu sei il Cristo!” Una risposta che soddisfa la tensione creata con ripetute domande in tutta la prima parte del Vangelo (chi è costui… che è mai questo…)
o   L’ordine severo di non parlare potrebbe stupire a questo punto… dopo molto mistero, dopo molto silenzio, non è giunto il tempo di dire quello che si è finalmente capito? Gesù sa che la comprensione dei discepoli è in realtà vera ma molto parziale. Sanno che lui è il Cristo, ma in che maniera egli voglia portare a termine questa missione di Messia, questo non lo immaginano, anzi: lo immaginano sbagliando! Si conclude con questa risposta e queto ordine la prima parte del Vangelo. Il primo dei tre annunci della passione aprirà il sipario su una nuova fase del cammino

Ä   In questo contesto risulta chiara la vicenda della protesta di Pietro e del rimprovero di Gesù il quale invita l’apostolo a tornare dietro, cioè a tornare a seguire!

Ä   Se qualcuno vuole… seguire Gesù chiede al discepolo una decisione libera, che comporta l’accettazione di una condizione descritta da tre espressioni:
o   Rinnegare se stessi, cioè togliersi dal centro. Solo Dio è Signore della vita, solo lui può dare la vita, solo lui può portarla al compimento.
o   Prendere la croce significa lasciarsi segnare da Dio, lasciare che egli imprima su di noi il suo sigillo, accettare di fare la strada di Gesù anche a costo di fatica.
o   Seguire Gesù ora ha un significato nuovo, illuminato dalle espressioni che lo precedono.

§ Alcuni spunti per cercare il “senso spirituale”

Tutto il resto per Gesù è stato più facile di questo. Cacciare demoni, guarire malati, perdonare peccati, calmare il mare, moltiplicare i pani… La grande cecità dell’uomo è guaribile solo al costo della grande fatica di Dio, e solo chi sa abbandonarsi (passività) a lui può compiere il percorso della guarigione.
Al cuore dell’esperienza cristiana non stanno molte grazie e manifestazioni, ma un’unica grande conversione intorno alla quale pian piano concentrarsi. Non servirà la volontà, ma una progressiva umiltà nell’accogliere il dono.

Cesarea di Filippo è un confine. Quante volte viviamo al confine… tra la fede e una realtà di fatto pagana… e questo da fuori (nelle relazioni con gli altri) ma anche da dentro (nelle zone pagane del nostro cuore)

Sempre la fede è in cammino e in comunità, ci chiede di continuare a metterci in gioco e in discussione e di sostenerci a vicenda, condividendola. Siamo sempre davanti a interpretazioni inadeguate della vita, della spiritualità, della figura di Gesù. A noi la possibilità di dare risposte che vengano dalla frequentazione di Gesù, dall’incontro con lui e dall’ascolto della sua Parola. Lontano da noi la tentazione di pensare che abbiamo capito, che ne sappiamo abbastanza.

Ancora silenzio… perché prima di lasciare che la Parola giunga alle labbra, bisogna custodirla, ruminarla a lungo nel cuore, con il coraggio di lasciarsi limare-ferire, di lasciarsi cambiare da dentro.

La nostra vita è di Dio, per viverla, compierla, salvarla dobbiamo accettare di stare dietro lui, di lasciarci illuminare dalla sua presenza, guidare dalla sua sapienza.

martedì 6 febbraio 2018

Mostraci il tuo volto - Quinto incontro

La misura con la quale misurate...

 Mc 4,1-34

1 Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. 2Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3«Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. 5Un'altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c'era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, 6ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. 7Un'altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». 9E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».

10Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. 11Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, 12affinché / guardino, sì, ma non vedano, / ascoltino, sì, ma non comprendano, / perché non si convertano e venga loro perdonato».

13E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? 14Il seminatore semina la Parola. 15Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l'ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. 16Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l'accolgono con gioia, 17ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. 18Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, 19ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. 20Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l'accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
21Diceva loro: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? 22Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. 23Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».

24Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. 25Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».


33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.



§ Prima di questi fatti
o  Gesù proclama la venuta del regno
o  …poi la proclamazione diventa gesto: il regnare di Dio chiama gli uomini a coinvolgersi in prima persona, guarisce le malattie, caccia i demoni, ristabilisce gli uomini in una vita buona. Gesù vuole mostrare la presenza di Dio con fatti significativi, ma chi lo guarda sembra cogliere solo il gesto, non il suo significato profondo.
o  L’annuncio di Gesù va incontro ad un’impressionante ondata di incomprensione e rifiuto: “tutti ti cercano” 1.37; “perché costui parla così? Bestemmia!” 2,7; “perché mangia e beve insieme a pubblicani e a peccatori?” 2,16 “perché i tuoi discepoli non digiunano?” 2,18; “perché fanno in giorno di sabato quello che non è lecito?” 2,24; “…rattristato per la durezza dei loro cuori” 3,5; “Tennero consiglio contro di lui per farlo morire” 3,6; “..i suoi… dicevano: è fuori di se!” 3,21; “è posseduto da Beelzebul” 3,22;

§ A questo punto Gesù si mette a parlare in parabole. (I semitismi di questo capitolo ci fanno capire che esso è di origine più antica rispetto alle versioni degli altri evangelisti.) Perché le parabole? Esse sono un modo per interpretare il mistero della vita, per guardarlo da un altro punto di vista. Per Gesù sono anche un modo per coinvolgere i suoi ascoltatori nel suo punto di vista. L’annuncio in gesti non ha coinvolto gli ascoltatori, che si sono limitati al massimo allo stupore. Essi però non sono stati capaci di passare dai fatti al significato.

§ Prima di tutto l’ascolto!
o   Gesù ripete un invito presente in tutto l’AT (vedi ad es. Dt 6,4): ascoltate! Esso fa da cornice al racconto del seminatore, lo troviamo infatti in apertura (4,3) e in chiusura (4,23), dove l’espressione “se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti” non ha il sapore di invettiva (…se volete ascoltare altrimenti arrangiatevi) ma è piuttosto un’esortazione a coinvolgersi. Il vedere è più passivo, più spontaneo, ma soprattutto più calcolatore. L’ascolto è più personale, più attivo, più capace di coinvolgere l’intera persona.
o  Nel versetto 24 Gesù chiederà anche di fare attenzione a quello che si ascolta: se ascoltare significa fare spazio dentro la vita a una presenza, allora chi accoglie la sua Parola/presenza imparerà a “misurare” le cose secondo la sua sapienza, a lasciarsi misurare da lui, fuggendo la tentazione di misurare/misurarsi. Chi non accoglie la sapienza di Dio diventerà sempre più incapace di comprenderne la presenza.
o   “a voi è dato…” un privilegio per pochi? Il mistero del regno è Gesù stesso con la sua presenza. Il Verbo incarnato è Dio stesso presente tra gli uomini. Per questo esso non può essere compreso del tutto, ne misurato o incasellato in schemi umani. D’altra parte Dio si è fatto uomo tra gli uomini proprio per manifestarsi a loro. Questa manifestazione non sarà mai completa e definitiva, ma avverrà dentro la dinamica di una relazione stabile che tanto più si  approfondisce quanto più dura nel tempo. Il corsivo del vers. 12 è una citazione di Isaia (Is 6,9-10). Il significato dell’espressione non vuole dire una condanna ma una possibilità sempre rinnovata di misericordia, fino a quella finale.

§ Chi guarda la vicenda di Gesù potrebbe pensarla già fallimentare. Gesù però interpreta le cose in un’ottica molto diversa. Nonostante ogni evidenza transitoria, egli sa che la sua vita è custodita da Dio, e così la sua missione. È Dio che fa crescere il regno, e lo fa in maniera misteriosa. D’altra parte la vita stessa per noi è misteriosa, con le sue sproporzioni e i suoi paradossi. Se Dio, nella sua misteriosa sapienza, fa crescere il suo regno, un regno di liberazione da ogni male e oppressione, un regno di bene e di salvezza, allora per Gesù bisogna sperare contro ogni speranza, contro ogni evidenza, contro ogni buon senso solo umano. Il seme cresce da se, (4,26-29) e i frutti che porta non sono proporzionati alla sua dimensione o visibilità (4,30-32). Esso non offre riscontro immediato, quindi chiede fiducia.
§ Lavoro di seminare, veglia, per raccogliere, generosità per consegnare ad altri.

§ Sulla parabola del seminatore:
o  Il tema non è sconosciuto al tempo di Gesù, ne nella cultura ebraica ne in quelle vicine, ma egli lo interpreta in chiave del tutto nuova, con un particolare taglio autobiografico, che però vuole essere anche didattico: raccontare la sua esperienza, interpretandola dal suo punto di vista, perché chi lo vuole possa liberamente coinvolgersi nella sua avventura.
o  La faccenda della semina ha un legame culturale con l’abitudine ebraica. Il fatto che il seme finisca sulla strada o tra le spine, a noi sembra frutto di un lavoro fatto male, con imperizia, disattenzione, trascuratezza. Nelle condizioni di lavoro e nelle abitudini di Israele questo era del tutto normale, almeno tanto quanto la possibilità che il seme venisse mangiato dagli uccelli
o  Il vero dato spropositato è la resa del seme. Nel caso della semina andata a buon fine Gesù parla di una resa minima del trenta per uno. A quel tempo la resa stimata di una semina era del sette, massimo otto per uno!

§ Alcuni spunti per cercare il “senso spirituale”

Portiamo nel cuore una sottile tentazione, quella di guardare noi stessi e la realtà a partire da una pretesa. Essa viene dai nostri progetti, e di solito ci mette in difficoltà. Pretendere significa attendere un risultato automatico e proporzionato, ma la vita ci impedisce di pensare che le cose vadano così. Allora, a volte, la pretesa si trasforma in una specie di “resa”  e diventa restrizione (ho questo e nessuno deve toccarmelo, del resto non mi interessa), qualunquismo e minimalismo (mi accontento di quello che viene), rassegnazione delusa… Gesù ci insegna a guardare la vita da un punto di vista diverso, a riferirci non ai nostri progetti e pretese, ma al grande piano di salvezza di Dio. questo ci impedisce di diventare pretenziosi, ma anche di trasformarci in gente delusa, rassegnata, sconfitta. Questo nella vita come nell’annuncio del Vangelo.

Gesù ci insegna a non preoccuparci delle proporzioni della nostra fede o della nostra testimonianza (granello di senapa) e nemmeno della possibilità di godere in breve dei frutti. (l’albero farà ombra agli uccelli, non al seminatore). Non godiamo forse noi stessi i frutti della semina di altri? Nel piano di Dio tutto ha un posto, per questo dobbiamo comportarci come il seminatore saggio, il quale si coinvolge nell’avventura del regno, ma lo fa senza pretese, e ad esse sostituisce la saggezza del tempo opportuno, la capacità di vegliare, di osservare, di cogliere i frutti quando sono maturi, non lasciandoseli sfuggire a causa della fretta o della disattenzione.

Abbiamo bisogno di imparare ad ascoltare… la Parola di Dio e la nostra stessa vita. Dobbiamo imparare la sapienza di riconoscere nelle nostre vicende la presenza sapiente di Dio. il nostro cuore rischia di essere così distratto da non cogliere i segnali di bene, o di allarme, che vengono dalla nostra quotidianità, dalle nostre relazioni. Abbiamo bisogno di ascoltare, e di conseguenza dobbiamo imparare a fare silenzio, a concentrarci, a far tacere i ragionamenti perché parli la realtà, perché parli il nostro corpo, il nostro cuore, perché parli Dio.


La nostra vera domanda davanti alla Parola non è “che cosa devo fare?” …piuttosto dobbiamo imparare a chiederci: chi sono io? (ad esempio non sono quello che ha fatto la realtà… sono figlio amato…)…di chi sono? (di Dio, delle mie preoccupazioni, dei miei calcoli), verso dove cammino? (verso la realizzazione dei miei progetti o verso il futuro che Dio mi prepara?) chi è Dio per me?