Cerca nel blog

mercoledì 11 dicembre 2019

Sì all'amore, bando a lamenti e paure.


Libera di riconoscere il bene
Lc 1,26-38

El Greco - Annunciazione
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.

«…Siediti Gabriele. Ragioniamo. Sono Galilea, e tu sai che la fama della gente di qui è tutt’altro che buona. Si vive a contatto con i pagani e non sono molti quelli ceh vivono una certa fedeltà alla Legge. Chi crederà mai ad una come me, che ha ricevuto la sorte avversa di nascere qui? Ma non basta Gabriele. Io sono di Nàzaret, che tra quelli di questa regione è il villaggio che ha la fama peggiore. Capisci? Poi tieni presente che sono giovanissima e donna. Non avrò mai il diritto di parlare in pubblico, ne tantomeno potrò imporre un nome a mio figlio, è una prerogativa del padre. Vuoi che lo si chiami Gesù? ma perché non lo dici a Giuseppe? E perché visto che ci sei non gli spieghi anche che sono incinta, ma senza il suo contributo?» 

ci capita spesso di fare così. Di sentirci inadeguati in un mondo inadeguato. Di pensare che se avessimo avuto… famiglia, possibilità, luogo di nascita diversi, e se avessimo potuto evitare ostacoli ed inconvenienti di varia natura, allora sì che la nostra vita potrebbe realizzarsi, e invece…

Gabriele significa “forza di Dio”. Chissà se la forza di Dio avrebbe sostenuto queste obiezioni così ovvie. Chissà se le avrebbe contraddette. Fatto sta che sono tutte osservazioni reali. Umanamente, la storia della salvezza sembra davvero iniziare per il verso sbagliato. Dio ha forse il gusto delle cose difficili? Sta forse giocando con la storia di questa giovane donna? Sta agendo senza logica e senza buonsenso? Sta infilando Maria in un’avventura disperata e pericolosa?

In effetti una preferenza Dio ce l’ha, San Paolo lo dice bene scrivendo ai Corinzi: “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio.” Una logica di inversione che Maria stessa canterà (ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili…).

Dio ha scelto Maria, e la partita di questa giovane donna si gioca lì, in quel preciso istante della sua vita, e lei la gioca in modo straordinario. Vediamo come:

Ä Prima di tutto, Maria sa riconoscere la manifestazione di Dio attraverso la presenza dell’Angelo. Non ha imparato solo le faccende domestiche, la lingua, l’amministrazione della casa. Non è stata cresciuta con l’unica preoccupazione che il suo corpo sia forte e sano. Maria ha la fortuna di essere stata iniziata a considerare la dimensione spirituale della vita. I sensi del suo cuore sono pronti a riconoscere Dio perché evidentemente sono stati allenati al dialogo con lui.

Ä Poi Maria si trova turbata. Un sentimento di profondo sconvolgimento e destabilizzazione. La sua reazione però è straordinaria. Maria non agisce in preda all’istinto del panico. Cerca piuttosto di farvi fronte con l’unico strumento che ha: la ragione. Prende le distanze, si domanda che senso ha. Non giudica, cerca di capire.

Ä Gabriele la aiuta con un suggerimento: “Non temere”. Ma il turbamento e la paura sono energie potenti e del tutto selvagge, si presentano spontaneamente, non le si possono “spegnere” semplicemente. Gabriele non intende questo. Suggerisce piuttosto a Maria di non lasciarsi dominare dalla paura. Il sentimento negativo c’è, ma è un cattivo consigliere, un pessimo navigatore, un ladro di libertà.

Ä Gabriele le parla di una gravidanza, e ancora una volta, Maria non giudica (…dicendo, ad esempio «questo è impossibile»), cerca piuttosto di comprendere. L’umiltà la abita. Per lei è normale pensare che Dio è grande, più grande dei pensieri e delle possibilità degli uomini. Non si sente all’altezza di giudicare Dio, di contestarlo, di non ritenerlo affidabile. Si chiede piuttosto il come, il modo, la strada da seguire.

Ä Maria ha compreso: il Dio che l’ha scelta, amata, riempita del suo favore, della sua grazia sa quello che sta facendo, e lei non ha nessuna intenzione di sospettare. Il sospetto è padre della paura, e lei la paura l’ha già messa alla porta. Lei è certa che il suo Dio non è sospettabile ma pienamente affidabile. Lo sa, perché evidentemente la sua relazione con lui esisteva già ed era abbastanza solida.

Ä Maria si fa Serva, si mette a servizio della prospettiva di Dio, e lo fa con entusiasmo, con desiderio. …Avvenga! 

Possiamo leggere questa vicenda come un percorso di fede, di discepolato, di risposta alla vocazione. Non c’è modello più alto di Maria. Possiamo metterci nei suoi panni e chiederci se i nostri sentimenti, la nostra quotidianità, il nostro modo di giudicare la realtà, la nostra relazione con Dio non possano essere illuminati dal suo esempio. Ne trarremo certamente il frutto di una fede solida, capace di portare frutto nella vita e pace nel cuore. Lei, l’eternamente giovane Maria, ci guidi con amore.



giovedì 5 dicembre 2019

Addomesticare

Una vecchia storia


Mt 24,37-44

Foto di Pierpaolo Benedetti
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.»






L’umanità ne ha fatta di strada, ma alcune caratteristiche dell’uomo, alcuni fatti della sua vita sono rimasti tali da millenni. Il bisogno di mangiare è un esempio eminente. Più sottile, meno selvaggio e istintivo, ma immutato e presente da secoli, è il bisogno di prendere la misura alla realtà. Quello che si può misurare si può addomesticare, e quel che è domestico è noto, pratico, comodo e rassicurante. Dietro a questo c’è un rischio ovvio. Quando, ad esempio, pretendiamo di addomesticare gli altri, di chiuderli solo dentro le nostre abitudini, le relazioni diventano difficili e frustranti.

Foto di Pierpaolo Benedetti
Chi cerca il regno di Dio, deve abbandonare l’idea di addomesticarlo, pena il non riconoscerlo per nulla. I criteri umani di classificazione della realtà infatti non possono funzionare con le cose di Dio. Ad esempio, quello che agli uomini sembra identico (due agricoltori nel campo, due massaie alla macina) è diverso agli occhi di Dio. Il regno è sempre nuovo, sempre sorprendente, sempre capace di rimetterci in gioco, di rinnovare la vita, di spingerla in avanti e in profondità. Non possiamo chiuderlo nelle nostre griglie di valutazione, nei nostri criteri di addomesticamento, nei nostri tempi.

Il ladro cerca di coglierci alla sprovvista per attuare le sue trame di male. Se ne conoscessimo in anticipo i piani, faremmo sicuramente di tutto per difenderci. Il regno è altrettanto sorprendente, ma porta con se un dono immenso, quello di una vita nuova non più schiava delle cose che portano alla morte, ma legata a quel Dio che sempre vuole darci vita, nuova e vera. A questo evento positivo però siamo meno inclini a prepararci. Per questo Gesù ci esorta con forza: «Vegliate!» 

Foto di Pierpaolo Benedetti
Vegliare significa allora scrollarsi di dosso l’antica tentazione dei tempi di Noè. Allora come oggi si rischia di vivere tutto come scontato, come abitudinario. Allora come oggi rischiamo di non ringraziare più, di non stupirci più per nulla, di essere ripiegati in un quotidiano grigiore che risulta tanto comodo quanto triste, insipido, incapace di farci camminare. 
Vegliare significa riaccendere il desiderio, coinvolgere il cuore, vivere la fede come una relazione viva, non come un’abitudine stanca. Vegliare significa guardare le cose non fermandosi alla superficie, né ai nostri ragionamenti, ma riconoscendo in ogni realtà il dono di Dio, la sua presenza.
Vegliare significa guardarci dentro in maniera lucida, rimettendoci in discussione, lasciando che l’amore di Dio ci illumini e ci doni di riconoscere con verità quello che siamo. 
Vegliare significa scuotersi di dosso l’anestesia dell’abituale, significa sentire con i sensi del cuore, ad accorgerci che il Signore è sempre di nuovo presente accanto a noi per spalancargli la porta e godere della sua presenza. 

Foto di Pierpaolo Benedetti
Vegliare significa ricominciare a vivere, da uomini e da credenti, gustando a pieno il sapore della realtà con lo sguardo rivolto verso la meta vera dell’esistenza, l’unica meta all’altezza della nostra vita: il regno di Dio e il suo Amore.