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venerdì 27 luglio 2018

Mettere ordine per trovare pace

Chi al centro?

Mc 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.     

Alcuni pensieri sul vangelo

Gli apostoli tornano dalla missioneche Gesù stesso li aveva inviati a compiere carichi di entusiasmo e di nuove esperienze, e raccontano al Maestro di questa missione. Qualcosa di strano? Qualcosa di male? No, certo, anzi, tutto nella norma. Le prole dell’evangelista però ci fanno intuire qualcosa che vale la pena di considerare. I dodici parlano di quello che avevano fatto e insegnato, in altre paroleraccontano di se stessi, delle loro fatiche, delle loro imprese, della loro capacità di trasmettere gli insegnamenti di Gesù, parlano di loro stessi insomma, si mettono al centro dei loro discorsi. L’invito di Gesù al riposo è molto più che un pensiero premuroso per le loro stanche membra. Questo riposo deve servire ai discepoli per rimettere in ordine le cose. Presi da ciò che è urgente fare, entusiasmati dalla missione consegnata loro, stanno correndo un rischioche tutti corriamo: quello di immedesimarci nelle nostre attività fino al punto di sentirci noi al centro, noi con le nostre idee, i nostri sforzi, le nostre realizzazioni, le nostre fatiche, i nostri progetti e le nostre ragioni, più o meno comprese dagli altri. 

Gesù vuole evitare per i suoi il rischioche l’attività si trasformi in attivismo che acceca, che fa perdere la fede perché spinge gli uomini a comportarsi come se fossero al centro del mondo, dimenticando Dio. Riposarsi in disparte, con Gesù, aiuta i suoi discepoli e noi a ricordare che non sono loro a salvare il mondo, che sono mandati da Dio, non sono essi stessi Dio. Tirare il fiato stando con il Maestro li aiuta a rimettere a fuocoil fatto che la missione non è loro, ma di chi li ha chiamati e voluto come collaboratori. La loro stessa vita, la loro realizzazione e pienezza, la loro salvezza insieme a quella dell’umanità, dipendono da Dio, non da loro.

Quello che accade poco dopo potrebbe sembrare contraddittorio, ma invece rafforza la stessa idea. Gesù incontra una folla di gente che evidentemente cerca qualcosa da lui. Con lo strumento della compassione entra in sintonia con loro. Non ha paura di lasciare che il loro disagio, il loro disorientamento, la loro sofferenza entrino nel suo cuore. Gesù non si lascia travolgere dagli eventi, dall’urgenza. Sembra non ascoltare nemmeno le loro domande, ha compreso qualcosa di più: hanno bisogno di quella buona notizia di salvezza che egli è venuto a portare nel mondo. Li fa sedere e insegna loro, facendo sperimentare anche a questa folla una forma profonda di riposo, quella di chi ha finalmente trovato un punto di riferimento sicuro per la vita. 

Il rischio è sempre lo stesso: Mettere al centro se stessi e le proprie attività, oppure mettere al centro il proprio riposo tradendo la missione, o semplicemente non sapere chi mettere al centro ed essere disorientati. La proposta di Gesù è la stessa, chiara e luminosa: bisogna regalarsi del tempoper tornare a mettere al centro Dio. bisogna ritirarsi ogni tanto nel deserto per sperimentare il vero riposo, che consiste nell’accogliere nel cuore un Dio che ti ama e ti guarisce, che con la sua luce ti aiuta a ritrovare il tuo posto, il senso delle tue fatiche, la forza di fare della tua vita un dono gratuito per gli altri. Oggi abbiamo bisogno di questo vangelo più che mai.

sabato 7 luglio 2018

Un limite che diventa risorsa

Una relazione che da vita

Mc 5,21-43

In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare.E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedie lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva».Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici annie aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando,udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello.Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata».E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?».I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»».Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo.E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?».Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!».E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte.Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina.Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare




Giairo vorrebbe salvare sua figlia, ma è impotente

Egli è il capo della sinagoga, un autorevole rappresentante della religiosità di Israele, un esponente di spicco di quel sistema di leggi che avrebbe dovuto garantire la relazione con Dio, ma non può fare nulla. La sua paternità è impotente, la sua religiosità sterile, sua figlia muore! 

La sua impotenza si trasforma in supplica a Gesù: “vieni a imporle la mano”! Non spera forse in una guarigione, quest’uomo straziato dal dolore, ma chiede almeno una benedizione, un gesto potente. Lo chiede a Gesù, forse è la sua ultima spiaggia, forse crede che questo singolare Maestro potrà fare quello che nessuno ha potuto. Sarà così, ma non subito.

Per la strada una donna malata, ferita nella sua femminilità, è ormai schiacciata dalla disperazione. La sua vita è straziata perché una malattia le impedisce il miracolo più grande: quello di dare la vita. Il flusso di sangue mestruale che dovrebbe essere per lei fonte di pienezza, trasformandola in madre, è invece la causa della sua impurità e della sua malattia

Si era rivolta ad un medico, poi ad un secondo, ad un terzo, ad un altro ancora, nulla! Solo impotenza in loro, aggravata dall’inganno: le avevano prosciugato il patrimonio. Povera, malata, disperata, non ha nemmeno la forza di gridare, non trova più le parole da dire. In un ultimo, sfinito gesto si getta a toccare il mantello di Gesù, piena di fiducia che anche solo quella carezza rubata le restituirà la vita. Sarà così, guarirà; anzi, di più: sarà salvata, e dopo di lei anche la fanciulla, data ormai per morta, ritornerà alla vita. 

Non Giairo, non i medici, non la religiosità di Israele, non i soldi.  Non i progetti umani, non le nostre conoscenze: Solo Gesù da la vita. Tutto il resto la consuma, la saccheggia, la toglie. La stessa quotidianità sembra derubarci, e noi, come paralizzati a guardare al passato, o a ciò che ci sta passando davanti, viviamo a volte la vita come qualcosa che il tempo ci porta via, che la frenesia ci strappa a brandelli dalle mani. 

Nulla può darci vita, solo Dio. Nessuno può dare la vita se non Dio, perché solo lui la possiede e ne dispone. Possiamo sperare nelle possibilità degli uomini? Certamente. Dobbiamo mettere in campo le nostre conoscenza, le nostre energie, le nostre possibilità? Sarebbe disonesto il contrario. ma dobbiamo riconoscere anche il limite di tutte queste cose, se non vogliamo rimanere tristemente ingannati, depredati. I beni, le scoperte, le nostre capacità, le nostre convenzioni… tutto è buono per noi solo se però riconosciamo che la vita è di Dio, e la sua bellezza e pienezza dipendono dall’accogliere con gratitudine lui e la sua vita, prima e più che da tutto il resto.