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lunedì 1 aprile 2019

Conquistare o ricevere in dono



Figli si diventa per dono

Lc 13,1-9

Sieger Koder - Il Padre misericordioso
Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola:
«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»».



Nessuno ti da niente per niente. La logica del mondo risponde spesso a questa legge, che subisceamaramente anche il figlio minoredella parabola. Nessuno gli da nulla, e siccome lui è stato in grado di sperperare ma non di guadagnare, ora è diventato un miserabile. Nessuno ti da niente per niente; se non ti costruisci da solonessuno ti aiuta, se non guadagniper te, se non difendiil tuo, nessuno si curerà della tua sorte. Peggio, se ti distruggicon le tue mani, nessuno ti soccorrerà, perché te la sarai voluta, ti starà bene, così impari! La situazione di degrado che questo giovane vive sembra rimproverarlo in modo tanto silenzioso quanto aspro, e lo inchiodaa questa legge che qualcuno chiama giustizia. Non hai guadagnato nulla, non hai nulla, sei un nulla.

Il mito dell’uomo che si fabbrica da se ha schiacciato questo giovane uomo. Il suo stesso fratello maggiore ragionerà così. Non ha saputo fabbricarsi? Ha sbagliatoal punto di rovinarsi? Gli sta bene. Il padre dovrebbe dargli una bella lezione. Una lezionealquanto inutilea pensarci bene, le lezioni dovrebbero insegnare non condannare, recuperare, non aggravare la situazione, ma così funziona la logica del niente per niente, e il figlio maggiorela applica alla perfezione. Ebbene, egli non è più suo fratello, e davanti al padre egli lo identificherà con l’espressione “tuo figlio”, che serve esattamente a prendere le distanze. Il figlio maggiore è l’espressione più radicale di quel “niente per niente” che domina il mondo. Egli è così attaccato alle cose che si è guadagnato chenon accettala prospettiva del gratuito. La logica del padre, fatta di condivisione e di dono (quello che è mio è tuo) egli la rifiuta, perché non vuole debiti. Sospetta di ciò che è gratuito. Egli accetta solo pagamenti o ricompense (ti servo, non ho mai disobbedito, non mi hai mai dato un capretto…), e una volta che è certo di quello che gli spetta, lo prende e chiude le relazioni. Non conta l’amore, non contano le persone, non conta la gratuità, non conta il dono. Tutte dipendenze pericolose. Per questo non conta suo padre, non conta suo fratello, non gli importa della vita o della morte, della perdizione o del recupero di nessuno. Conta solo lui, ed eventualmente considera gli altri nella misura in cui possono essere utili alla sua opera: fabbricarsi da solo. 

Il Padre invece sa chele realtà più importanti della vita sono tutte gratuite, la vita stessa lo è. L’uomo realizzato è solo quello che sa accogliere se stesso come dono da Dio, e la sua gioia consiste proprio nel sapersi debitore di un amore grande, che accetta persino di non essere corrisposto. Il Padre sa che, fino a quando l’uomo non impara a vivere questa logica di dono, nell’accoglienza grata e nella condivisione generosa, egli non saràmai pienamente uomo, perché non sarà pienamente figlio. Per questo somministra al figlio minore la “cura della misericordia”. Era stato illuso dalla brama di auto fabbricarsi, per questo aveva cercato autonomia assoluta nella distanza da suo padre, per questo aveva voluto la sua parte, per gestirla secondo il suo arbitrio. Ora che vive la miseria di sentirsi un perfetto nessuno, rientra in se stesso e lì trova un ricordo prezioso: la gratuità di suo padre. In casa sua infatti, i salariati non hanno il pane che meritano, ne hanno in abbondanza. 

Quando torna, non trova un uomo che vuole scioccamente cancellare gli eventi dolorosi del passato. Il Padre sa bene che il passato non si cancella, ma non vuole che gli effetti di questo passato sbagliato si perpetuino nel presente e nel futuro. Se per i suoi figli esiste prima la necessità di farsi da soli, per il padre invece viene per primo il desiderio di donarsi; loro hanno servito il mito di se stessi con le cose, fino a diventarne schiavi, lui vuole servire loro, anche nella loro miseria, e lo fa con il dono di se stesso, con il suo amore, con l'unico obiettivo di farli tornare liberi, figli, se stessi.

Quel figlio non può restare all’intuizione della gratuità, deve tornare a viverla. Non può fare il servo, deve fare lo sforzo di tornare a comportarsi da figlio. Fare il servo per lui non sarebbe una punizione, ma uno scontoalla sua identità(della serie: faccio meno, perché mi costa meno, visto che quando ho voluto fare molto di testa mia sono finito in miseria). Niente da fare. Il padre gli restituisce la dignità(nel segno della veste), la posizione sociale(i calzari del padrone di casa) e la fiducia amministrativa(l’anello al dito, il sigillo). La misericordia non è ingiustizia ne colpo di spugna. Essa è stimolo ad essere quello che si è, fino in fondo. Il perdono, proprio perché non dovuto ma gratuito, ci da la dimensione dell’investimento di Dioper noi, e ci dice quindi quanto deve essere grande anche la dimensione del nostro investimento nel purificare il nostro cuore, nell’accogliere con gratitudine il suo amore. Auto fabbricarsi è un fallimento, riceversi dall’amore del padre una continua gioia e vera realizzazione. Questa è non solo la prospettiva dentro la quale dobbiamo rileggere la nostra vita e la nostra fede, ma anche quella dalla quale dobbiamo avere il coraggio di guardare i nostri fratelli. Anche per loro, come per noi, c’è una sola giustizia, quella della misericordiache ci fa tornare ad essere come Dio ci ha creati e voluti: figli amati, fatti a immagine e somiglianza di Lui.

Pigrizia come abuso


Orientati e impegnati
Lc 13,1-9

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai»».



Che Pilato sia sanguinario lo sanno tutti. La gente che va da Gesù non racconta certo un fatto strano. Cosa si aspettino da Gesù è difficile dire, probabilmente un’interpretazione, un giudizio, un commento che sappia dare significato a ciò che sembra non averne. Forse questa gente aspetta un giudizio che faccia tirare a tutti un sospiro di sollievo: “La colpa è di Pilato, è lui il cattivo” una frase davanti alla quale qualcuno avrebbe pensato: “…noi però non possiamo farci nulla”, altri: “dobbiamo combatterlo… rivoluzione!”. Tutto questo per Gesù è molto carente, riduttivo. La proposta del Maestro esige un atteggiamento molto diverso. Chi vede il male, e ne constata gli effetti devastanti, deve prima di tutto chiedersi se questo male non sia presente anche nel suo cuore. Non può liberare il mondo dall’ingiustizia colui che indulge a quella che si volge a suo vantaggio. Non può fermare la spirale della violenza colui che se ne serve a proprio tornaconto. Chi vede il male presente nel mondo deve allora prima di tutto estirparlo da se stesso, dal suo cuore. Chi si rende conto dei suoi effetti di distruzione e di morte deve fare di tutto per non esserne lui stesso schiavo. Ecco il senso dell’esortazione di Gesù alla conversione. Non è una minaccia, ma un invito forte a prendere coscienza dei fatti. Chi non cambia vita, liberandola dall’inquinamento del male, subirà le conseguenze di questo male, che magari aveva condannato fuori da se. 

La parabola del fico rinforza questa idea, e ci ricorda in modo nitido e diretto che il nostro tempo non è infinito. Ancora un anno, per ricordare che la misericordia di Dio non è finita. Esso si prende continuamente cura di noi perché possiamo portare frutti di conversione, cioè di vita liberata dalla schiavitù del male. Ancora un anno per dire che però questo tempo di misericordia non è infinito, come non lo è la nostra vita. La pigrizia che ci fa rimandare, continuamente ritardare, che ci fa cercare sempre nuove e convincenti giustificazioni per progettare la conversione nel futuro, questa pigrizia è un vero e proprio abuso davanti alla misericordia di Dio. Prendere coscienza del grande dono della misericordia deve invece stimolarci all’impegno. Chi è davanti ad un grande dono, si sforza di accoglierlo, di goderne. Chi invece rimanda all’infinito mostra di non aver compreso per nulla la portata del dono, e finisce per abusarne, nel segno del disprezzo.

A metà della quaresima non c’è invito più forte e accorato di questo alla conversione, all’impegno per purificare il cuore dal male. Se ci metteremo all’opera, scopriremo che Dio prima di noi ha investito energia, cura, premura in nostro favore.