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martedì 22 agosto 2017

Strategia o accoglienza


Un dono più grande della richiesta


Mt 15,21-28

Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco, una donna cananea, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore - disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.


Con quali parole si può colpire positivamente uno straniero, al punto da trovarlo ben disposto alle proprie richieste? La donna del Vangelo deve aver pensato che chiamare Gesù “Figlio di Davide” le avrebbe aperto la strada presso di lui. Sfortunatamente Gesù non si lascia colpire, e lei si trova costretta ad abbandonare la strategia.
Il Maestro, non rivolgendole la parola, suscita in lei la necessità di ricredersi, di mettersi in gioco. Il suo bisogno infatti resta, e anche la sua speranza verso Gesù, per questo decide di seguirlo, lo cerca con insistenza, gli grida dietro esprimendo il suo dolore, il suo bisogno, la sua rabbia, la sua ricerca di una speranza. Questo suo gridare dietro al Maestro senza essere ne esaudita ne cacciata, la costringe a fare un po’ di strada con lui, le fa intuire che forse bisogna cercare più in là, più in profondità. Forse bisogna entrare in relazione con questo Signore, “studiarlo” un po’ da vicino. Quando finalmente Gesù le rivolgerà la parola, lo farà chiedendole di mettersi davanti ad una verità nuova, per lei e per i discepoli, e la verità che lei ha compreso è questa:  non ha merito o titoli per ricevere il miracolo, non fa parte del popolo eletto, ma lo stesso può sperare che il dono di Dio la raggiunga, anche in forma di sole briciole. Centra l’obiettivo questa donna. Gesù è stato mandato alle pecore perdute della Casa di Israele, ma il nuovo popolo dell’alleanza non si riconosce più dai legami di sangue e discendenza. I destinatari del dono di Dio non sono quelli che lo hanno meritato, o che ne hanno legittimità di sangue, ma coloro che credono in Gesù Cristo, Figlio di Dio. Ecco l’unico titolo per appartenere alla casa d’Israele, ecco l’unica “strategia” buona per accogliere il dono di Dio: Credere!

Il sentimento che assale i discepoli, li tiene lontani dai pensieri del Maestro che attende la fede della donna. Un assillo ingombra il loro cuore: quello di camminare con una donna che grida loro dietro è una pessima figura, meglio liberarsi di questa specie di “contagio”. Che cosa dirà la gente? Gesù testimonia ai dodici che non è bene preoccuparsi della propria reputazione più che del bene vero e concreto, per se stessi e per gli altri. È bene invece imparare a suscitare la fede anche dove inizialmente non c’è, perché molti, credendo, possano accogliere la salvezza.

Siamo capaci del coraggio di questa donna, oppure alla prima impressione di non essere ascoltati da Dio ci arrendiamo? La preghiera non è certo una parola magica, un titolo che serva a colpire positivamente il Signore, non è però nemmeno solo un colloquio. Essa è relazione, investimento, disponibilità  mettersi in gioco, quindi anche un vero e proprio percorso di crescita, una palestra di fede… questo Vangelo ci chiede di “frequentare” con regolarità questa “palestra”, trasformando se necessario la preghiera in grido, perché il Signore ci aiuti a riconoscere la verità della nostra vita, e ad accogliere dentro questa verità il suo Amore.

Solo questo percorso ci rende anche autentici annunciatori del regno, liberi dal giudizio degli altri, dal consenso della gente, capaci di condurre i bisognosi ad accogliere non solo il soccorso materiale, ma anche la fede che salva…

Vento contrario

Cuore al buio

Mt 14,22-33

Subito dopo costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Il vento contrario non spaventa i pescatori, ma assorbe tutte le loro energie. Non c’è spazio per nulla nella mente e nel cuore, tutto è concentrato sulla situazione da tenere in mano. Non c’è più posto nemmeno per le relazioni importanti, per i ricordi fondamentali, per la cura dei legami determinanti. L’impegno per risolvere la situazione è tale che nella mente non ci sono più energie nemmeno per riconoscere i volti amici, cari, amati. Nemmeno quello del Maestro che aveva cambiato la vita dei discepoli. Gesù era sul monte, a pregare, come lo aveva fatto Mosè, ottenendo la vittoria per gli israeliti che combattevano nella valle (Es 17). Il fatto è che, impegnati a contrastare il vento e le onde, di Gesù non si ricordano più, quei pescatori di Galilea. A nulla vale il ricordo dei prodigi che ha già compiuto, a nulla varrà il segno che egli darà a Pietro. Dentro a quel buio, che è nel cuore dei dodici prima che nel cielo di Galilea, Gesù va verso di loro. È proprio lui, in carne e ossa, una presenza concreta, che dovrebbe suscitare gioia e sollievo nel loro cuore. Non è così perché non lo riconoscono! Lo credono il contrario di quel che è, un fantasma, una realtà senza concretezza, capace solo di gettare nel panico chi la vede. Nemmeno la sua parola risulta convincente, confortante, e quel “Coraggio, sono io, non abbiate paura” non fa che suscitare in Pietro il desiderio malsano di avere un segno, di mettere alla prova il Signore: vuole camminare anche lui sul lago. Gesù concede il segno e Pietro scende anche lui sull’acqua con il Maestro, ma questo non serve a rafforzare la sua fede. il suo sguardo si fissa di nuovo sulle onde e sul vento. Ora, senza barca, la paura lo assale; Grida, viene portato in salvo e amabilmente rimproverato: è un uomo dalla fede troppo corta! Quante volte siamo in questa situazione. Il Signore non è assente dalla nostra vita, ma non siamo in grado di contare sulla sua presenza. Assorbiti come siamo dall’impegno quotidiano, dal “vento contrario” che quotidianamente affrontiamo, rischiamo di non riconoscere nemmeno i volti cari, di sentirci soli davanti ai fatti, senza amicizie, senza amore, senza Dio. Nemmeno un “segno” prodigioso potrebbe portarci fuori da questo buio. Perdiamo la capacità di contare su Dio, non siamo più in grado di riconoscerlo presente e all’opera nella nostra vita, la sua ci sembra una presenza inutile ed evanescente. C’è un solo modo per uscirne: trovare il coraggio di gridare! La preghiera sincera, vera, anche quando si fa grido buca sempre il muro della nostra miseria e del nostro buio. “Salvami, Signore”. La mano sicura del Maestro porta in salvo Pietro, un uomo come noi, che ha la fede, ma ancora troppo corta, incapace di durare dentro le impegnative vicende quotidiane. Questo Vangelo dice molto della nostra esperienza di fede. Quali sono le situazioni e i momenti dentro quali il Signore ci sembra lontano? Quanto tempo delle nostre giornate viviamo completamente assorbiti dalle nostre cose tanto da sentirci “soli davanti al mondo” senza più il ricordo di Dio e delle persone care? Siamo capaci di riconoscere la presenza e l’amore di Dio che ci accompagna nei fatti della nostra quotidianità?

lunedì 21 agosto 2017

Sguardo illuminato

Luce dentro



Mt 17,1-9

Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti».



C’è bisogno, ogni tanto, di tirare il fiato, di ricaricare le batterie, e Gesù sa che i discepoli ne hanno immensamente bisogno. Quello che affronteranno tra non molto tempo sconvolgerà la loro vita, affonderà nel loro cuore, come lame, dubbi laceranti e drammatici. Dubbi sulla loro scelta di vita, quella di seguire il Maestro di Galilea, venuto ad annunciare il regno di Dio e presto ucciso nella maniera più ingiusta, violenta e infamante possibile. Con sapiente tenerezza, Gesù vuole preparare i suoi a reggere il colpo. Li porta sulla montagna a fare un’esperienza straordinaria. Si mostra per qualche tempo non più velato dal grigio della quotidianità, non più immerso nell’ambiguità del corpo umano che egli ha voluto abitare. Fa splendere sul suo volto la luce della sua divinità, una luce che riaccende la speranza, che fa intuire la sua grandezza, che semina nel cuore dei discepoli una notizia che germoglierà dopo la Pasqua: Gesù è morto per vincere la morte, per risorgere. Per fare questa esperienza però, bisogna faticare, salire dietro al maestro, fidarsi di lui. Abbiamo bisogno anche noi di “scendere” nella vita quotidiana con un bagaglio di luce, di forza di speranza. Troppo spesso, senza questo bagaglio, le vicende delle nostre giornate ci portano via da Dio, ci impediscono di riconoscerlo come il nostro salvatore, la nostra speranza, ci portano a ripiegarci in noi stessi contando solo sulle nostre forze. Le fatiche della vita, gli ostacoli che impediscono il nostro cammino, soprattutto quando sono imprevisti e ci appaiono ingiusti, rischiano di farci perdere le forze, la speranza, la luce della fede. Allora siamo credenti sì, ma sfiduciati, discepoli sì, ma convinti che serva a poco o nulla; Ricordiamo sì qualcosa del Vangelo, ma esso ci appare lontano, poco concreto, inutile. Conosciamo sì qualche tratto del volto di Gesù, ma come se fosse un ricordo, non l’esperienza di una persona presente. Abbiamo bisogno della trasfigurazione, di un’esperienza luminosa della sua presenza. Ne abbiamo bisogno sempre, in modo da essere sempre pronti, perché non sappiamo quando arriverà il nostro Golgota. Per questo dobbiamo scoprire e riscoprire il coraggio di salire sul monte, di faticare cioè, per arrivare a quella preghiera che ci regala l’incontro con Dio. Perché non provarci? Perché non fare queste fatica, facendosi guidare dal Maestro, e anche da chi, prima di noi, ha fatto questa esperienza di incontro profondo, di luce? Perché non fare scorta di questa luce per prepararsi a rischiarare le nebbie che avvolgono a volte la nostra quotidianità?