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giovedì 5 dicembre 2019

Addomesticare

Una vecchia storia


Mt 24,37-44

Foto di Pierpaolo Benedetti
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l'altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell'ora che non immaginate, viene il Figlio dell'uomo.»






L’umanità ne ha fatta di strada, ma alcune caratteristiche dell’uomo, alcuni fatti della sua vita sono rimasti tali da millenni. Il bisogno di mangiare è un esempio eminente. Più sottile, meno selvaggio e istintivo, ma immutato e presente da secoli, è il bisogno di prendere la misura alla realtà. Quello che si può misurare si può addomesticare, e quel che è domestico è noto, pratico, comodo e rassicurante. Dietro a questo c’è un rischio ovvio. Quando, ad esempio, pretendiamo di addomesticare gli altri, di chiuderli solo dentro le nostre abitudini, le relazioni diventano difficili e frustranti.

Foto di Pierpaolo Benedetti
Chi cerca il regno di Dio, deve abbandonare l’idea di addomesticarlo, pena il non riconoscerlo per nulla. I criteri umani di classificazione della realtà infatti non possono funzionare con le cose di Dio. Ad esempio, quello che agli uomini sembra identico (due agricoltori nel campo, due massaie alla macina) è diverso agli occhi di Dio. Il regno è sempre nuovo, sempre sorprendente, sempre capace di rimetterci in gioco, di rinnovare la vita, di spingerla in avanti e in profondità. Non possiamo chiuderlo nelle nostre griglie di valutazione, nei nostri criteri di addomesticamento, nei nostri tempi.

Il ladro cerca di coglierci alla sprovvista per attuare le sue trame di male. Se ne conoscessimo in anticipo i piani, faremmo sicuramente di tutto per difenderci. Il regno è altrettanto sorprendente, ma porta con se un dono immenso, quello di una vita nuova non più schiava delle cose che portano alla morte, ma legata a quel Dio che sempre vuole darci vita, nuova e vera. A questo evento positivo però siamo meno inclini a prepararci. Per questo Gesù ci esorta con forza: «Vegliate!» 

Foto di Pierpaolo Benedetti
Vegliare significa allora scrollarsi di dosso l’antica tentazione dei tempi di Noè. Allora come oggi si rischia di vivere tutto come scontato, come abitudinario. Allora come oggi rischiamo di non ringraziare più, di non stupirci più per nulla, di essere ripiegati in un quotidiano grigiore che risulta tanto comodo quanto triste, insipido, incapace di farci camminare. 
Vegliare significa riaccendere il desiderio, coinvolgere il cuore, vivere la fede come una relazione viva, non come un’abitudine stanca. Vegliare significa guardare le cose non fermandosi alla superficie, né ai nostri ragionamenti, ma riconoscendo in ogni realtà il dono di Dio, la sua presenza.
Vegliare significa guardarci dentro in maniera lucida, rimettendoci in discussione, lasciando che l’amore di Dio ci illumini e ci doni di riconoscere con verità quello che siamo. 
Vegliare significa scuotersi di dosso l’anestesia dell’abituale, significa sentire con i sensi del cuore, ad accorgerci che il Signore è sempre di nuovo presente accanto a noi per spalancargli la porta e godere della sua presenza. 

Foto di Pierpaolo Benedetti
Vegliare significa ricominciare a vivere, da uomini e da credenti, gustando a pieno il sapore della realtà con lo sguardo rivolto verso la meta vera dell’esistenza, l’unica meta all’altezza della nostra vita: il regno di Dio e il suo Amore.

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