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lunedì 1 aprile 2019

Pigrizia come abuso


Orientati e impegnati
Lc 13,1-9

In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest'albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest'anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l'avvenire; se no, lo taglierai»».



Che Pilato sia sanguinario lo sanno tutti. La gente che va da Gesù non racconta certo un fatto strano. Cosa si aspettino da Gesù è difficile dire, probabilmente un’interpretazione, un giudizio, un commento che sappia dare significato a ciò che sembra non averne. Forse questa gente aspetta un giudizio che faccia tirare a tutti un sospiro di sollievo: “La colpa è di Pilato, è lui il cattivo” una frase davanti alla quale qualcuno avrebbe pensato: “…noi però non possiamo farci nulla”, altri: “dobbiamo combatterlo… rivoluzione!”. Tutto questo per Gesù è molto carente, riduttivo. La proposta del Maestro esige un atteggiamento molto diverso. Chi vede il male, e ne constata gli effetti devastanti, deve prima di tutto chiedersi se questo male non sia presente anche nel suo cuore. Non può liberare il mondo dall’ingiustizia colui che indulge a quella che si volge a suo vantaggio. Non può fermare la spirale della violenza colui che se ne serve a proprio tornaconto. Chi vede il male presente nel mondo deve allora prima di tutto estirparlo da se stesso, dal suo cuore. Chi si rende conto dei suoi effetti di distruzione e di morte deve fare di tutto per non esserne lui stesso schiavo. Ecco il senso dell’esortazione di Gesù alla conversione. Non è una minaccia, ma un invito forte a prendere coscienza dei fatti. Chi non cambia vita, liberandola dall’inquinamento del male, subirà le conseguenze di questo male, che magari aveva condannato fuori da se. 

La parabola del fico rinforza questa idea, e ci ricorda in modo nitido e diretto che il nostro tempo non è infinito. Ancora un anno, per ricordare che la misericordia di Dio non è finita. Esso si prende continuamente cura di noi perché possiamo portare frutti di conversione, cioè di vita liberata dalla schiavitù del male. Ancora un anno per dire che però questo tempo di misericordia non è infinito, come non lo è la nostra vita. La pigrizia che ci fa rimandare, continuamente ritardare, che ci fa cercare sempre nuove e convincenti giustificazioni per progettare la conversione nel futuro, questa pigrizia è un vero e proprio abuso davanti alla misericordia di Dio. Prendere coscienza del grande dono della misericordia deve invece stimolarci all’impegno. Chi è davanti ad un grande dono, si sforza di accoglierlo, di goderne. Chi invece rimanda all’infinito mostra di non aver compreso per nulla la portata del dono, e finisce per abusarne, nel segno del disprezzo.

A metà della quaresima non c’è invito più forte e accorato di questo alla conversione, all’impegno per purificare il cuore dal male. Se ci metteremo all’opera, scopriremo che Dio prima di noi ha investito energia, cura, premura in nostro favore.

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